BIOGRAFIA CRONOLOGICA
Biografia cronologica scritta da Annemarie Sauzeau per il Catalogo Generale
1940
Alighiero Fabrizio Boetti nasce il 16 dicembre a Torino, nel quartiere della Crocetta (corso Trento n. 5) in una famiglia aristocratica originaria di Fossano (Cuneo). I conti Boetti hanno perso i propri beni terrieri entro l’Ottocento e le successive generazioni si sono riqualificate in ambito urbano nelle professioni giuridiche. In effetti il padre, Corrado, è avvocato.
La madre, Adelina Marchisio, è stata una promettente violinista, ormai dedita alla vita domestica, mentre sua sorella Elena conduce un’onorabile carriera di pianista e docente presso il Conservatorio della città. Con il fratello maggiore Gualtiero, Alighiero Boetti vive una prima infanzia poco felice, sfollati con la madre in campagna a Giaveno fino alla fine della guerra, mentre il padre è al fronte.
L’adolescenza, trascorsa nel dopoguerra, sarà una fase ancor più difficile segnata dalla separazione dei genitori, avvenuta nel 1949, e dal progressivo allontanamento del padre, che gli offrirà un sostegno molto limitato, non solo sul piano affettivo.
Alighiero frequenta la scuola elementare “Michele Coppino”, l’Istituto tecnico “Germano Sommeiller” e poi si iscrive mal volentieri alla Facoltà di Economia e Commercio, che presto abbandona.
1955-1961
La sua è una cultura autodidatta: Pavese, Montale, Mann, Faulkner e soprattutto Herman Hesse (di cui legge l’opera omnia) sono solo alcuni dei suoi autori di riferimento.
Torino è allora una città di respiro internazionale molto stimolante, grazie alla casa editrice Einaudi e a certi luoghi di punta come la Galleria Galatea di Mario Tazzoli dove il giovane scopre l’arte tantrica; la sua ini- ziazione all’arte contemporanea avviene nella Galleria Notizie di Luciano Pistoi dove a diciassette anni Boetti vede gli acquerelli di Wols, i lavori di Fontana, la pittura di Gorky e Rothko, i disegni di Henri Michaux, fino alla scoperta di Cy Twombly nel 1963 (anno segnato anche dalla prima grande retrospettiva di Balla alla Galleria Civica).
Intorno al 1960 AB realizza a olio o a tempera alcuni dipinti di tipo informale su tela o cartone. “A ventidue anni non si considerava ancora pittore ma la sua vocazione d’artista non faceva dubbio. I suoi maestri erano Matisse, il Balla dagli esercizi astratti all’acquarello, Wols e Nicolas de Stael che fu per lui il Cesare Pavese della pittura. Ma secondo lui il più grande era Paul Klee”.
“In realtà mi sono interessato all’esotico a quindici anni, grazie agli acquarelli marocchini di Paul Klee. Era nato un 16 dicembre come me e questo facilitava la mia identificazione di adolescente.
Del tutto ingenuamente, avevo ‘copiato’ quegli acquarelli, e questo prima di conoscerli”.
Parallelamente svolge un’attività di pura sopravvivenza economica, che proseguirà per alcuni anni: nella Provenza francese, che egli ha scoperto grazie a Delfina Provenzali, traduttrice e amica del poeta André du Bouchet (genero di Nicolas de Stael), compra nel villaggio di Vallauris ceramiche di Picasso e di altri artisti, per rivenderle in Italia. È lì che avviene nel 1962 l’incontro con Annemarie Sauzeau, giovane professoressa d’inglese, che diventerà sua moglie nel 1964 e lo rimarrà fino al 1987.
1962-1964
Si trasferisce a Parigi nell’autunno del ’62 e vi soggiorna quasi stabilmente per due anni. Vede da vicino il lirismo astratto di De Stael, le opere materiche di Dubuffet e Fautrier, la pittura calligrafica zen del Giappone in una storica mostra al museo del Petit Palais.
Scopre il concetto di “museo immaginario” pluriculturale di André Malraux tramite il famoso libro edito da Skira (ristampato più volte dal 1947) nel quale “entra” al punto di confonderlo più tardi con la mostra organizzata nel ’73 alla Fondazione Maeght sullo stesso tema:
“Ci fu anche quella esposizione organizzata da Malraux a Parigi all’inizio degli anni Sessanta: il ‘Museo immaginario’ o qualcosa di simile (…) Aveva selezionato i migliori pezzi in diversi musei di tutto il mondo, l’arte sumera, egiziana, la scultura khmer (…) Mi ricordo bene di una statua assira in marmo bianco con occhi in lapislazzuli”.
In mancanza di uno studio, si concentra su lavori “da camera”: inchiostri di china su kleenex e “combustioni” di piccole scatole di fiammiferi, forse in riferimento alle peintures-feu di Yves Klein, deceduto da poco a Parigi (maggio 1962). All’inizio del ’63 presso l’atelier di Johnny Friedlaender impara la tecnica incisoria: dall’uso iniziale dell’inchiostro nero arriverà a una sofisticatissima policromia. Nello stesso atelier conosce l’artista cubano Ramon Alejandro, con cui instaura un’intensa e duratura amicizia. Legge Marcel Granet e scopre il pensiero di Gaston Bachelard.
A Milano muore Manzoni, trentenne.
Nell’autunno del ’64, rientrato stabilmente a Torino nell’appartamento-studio in via Principe Amedeo, si dedica ancora all’incisione, ma la sua attenzione è rivolta soprattutto ai grandi disegni a matita nera su cartone. Questi lavori sono sottilmente modulati dal nero al grigio, come se fossero concentrazioni variabili d’inchiostro in un’incisione. A differenza dei primi esemplari parigini – forme organiche non figurative – si tratta ora di fredde sagome meccaniche ricalcate da vecchie “guarnizioni” di motori Fiat o di iconografia fumettistica vagamente Pop, con scritte assimilabili a targhe.
Realizza anche oggetti tridimensionali a partire da pezzi di lamiera da recupero che salda e vernicia a spruzzo, lasciando un “visore” che ne attraversava la massa.
“Tra questi oggetti sospesi al soffitto all’altezza degli occhi come un mirino, potrei ricordare un pezzo di carrozzeria di furgoncino, con lo specchio laterale e il sedile, ridipinto giallo-oro”.
1965
AB passa a un nuovo tipo di disegni ad inchiostro di china, ombre cinesi nere e stagliate: sagome semplificate di pettini, bicchieri e bottiglie oppure apparecchi industriali – lampade da scrivania, microfoni, cineprese e macchine fotografiche. Boetti ha esposto questi disegni per la prima volta nel 1981 a Parigi e, dieci anni più tardi, nella retrospettiva di Bonn.
“Con i microfoni, apparecchi fotografici, macchine da presa, lampade e visori, volevo creare situazioni che impegnassero lo spettatore in una nuova dimensione. Del teatro insomma”.
A partire dall’estate, lavora in un piccolo studio, un’ex portineria accanto all’appartamento in via Montevecchio dove Boetti si è trasferito. Questi primi lavori non pittorici vertono sull’energia di “cose” che sfondano un piano murale: sono stati successivamente distrutti dall’artista stesso, ne rimangono soltanto alcuni schizzi.
Conversazione con Mirella Bandini, 1972: “(…) Il primo era un pannello in masonite dal quale usciva un pugno, il calco del mio, mentre io ero dall’altra parte del muro. L’idea era quella dell’energia di un muro che si apriva (…) Poi ho fatto altri pannelli, una mano che offriva una sedia; la sedia era tagliata a metà, una parte era entrata nel quadro”.
1966
Rispetto alla scena artistica torinese, AB rimane in disparte e realizza molte opere minimaliste: alcune, in particolare i lavori con impianto di luce che precedono di poco Ping Pong e Lampada annuale, sono state esposte solo recentemente tra il 2002 e il 2003; altre, selezionate dal gallerista Christian Stein, costituiranno il nucleo fondante della sua prima mostra personale nel gennaio del ’67.
“Nell’inverno ’65-66 ho preparato un’enorme quantità di lavori e progetti. Verso maggio ’66, persuaso dell’impossibilità di utilizzare oggetti d’uso comune, affronto nuovi lavori, astratti: delle linee per terra, due luci intermittenti, un pannello di plexiglas sospeso al soffitto, alcune pedane, dei pavimenti inclinati e persino un pozzo! Ma in questo mio bisogno di mettere le persone in situazione, persino di farle divertire, c’era ancora qualcosa che riguardava il teatro”.
Nel corso dell’anno AB comincia a frequentare le gallerie d’avanguardia di Gian Enzo Sperone e di Christian Stein, dove incontra alcuni giovani artisti torinesi, tra cui Mondino, Gilardi, Piacentino, Paolini e Pistoletto.
“Avevo rapporti con Pistoletto, e ogni tanto vedevo Gilardi e Piacentino, però non ero di quel giro. Oggi, vedendo le cose da lontano, si può dire che tutto sia uscito da quel gruppo. Anche Pascali, quando ha fatto la mostra dei Cannoni nel ‘66 da Sperone, è proprio a Torino che ha avuto più corrispondenza, e così per Fabro”.
Con Giulio Paolini invece s’instaura subito un rapporto di speciale sintonia che Paolini stesso ricorda così: “Io e Alighiero ci siamo conosciuti nel ‘66. Ci fu subito un rapporto particolare, diverso da quello tra colleghi che avevo con gli altri artisti torinesi. Con lui ci fu un’intesa più amichevole e confidenziale, più schietta”.
1967
19 gennaio, Galleria Christian Stein: si inaugura la prima mostra personale. Tutti i lavori esposti sono databili all’anno precedente: Lampada annuale che si accende una volta all’anno per undici secondi imprevedibili, Scala, Catasta, Sedia, Tubi PVC, Mimetico, Zig Zag e il dittico Ping Pong.
“Il sapere d’innumerevoli eventi che succedono senza la nostra partecipazione e conoscenza, per questione di pura impossibilità di spazio e tempo, mi ha portato a fare la lampada annuale quale espressione teorico-astratta di uno degli infiniti avvenimenti possibili, l’espressione non dell’avvenimento ma dell’idea dell’avvenimento (…) Se la Lampada annuale è opera totalmente letteraria, circa Catasta, Tubi o Cartone ondulato, la mia unica risposta è: è una catasta, è un rotolo di cartone spinto dall’interno, è un mazzo di tubi ecc. ecc.”.
Nella profusione di idee, gesti e oggetti, vi è già l’ossessione della scrittura e della bi-dimensionalità, con diversi pannelli dedicati al linguaggio: Stiff upper lip, The thin thumb, CLINO, Frou frou.
“A me la scultura o l’oggetto non ha mai interessato”.
Infatti già nel ’67 è totalmente concettuale il Manifesto, e persino il multiplo Contatore. Questa prima personale è recensita da Tommaso Trini con due testi, in “Domus” (febbraio) e “Bit” (marzo). Anche Paolo Fossati recensisce due volte la mostra, nella rivista “Flash” e sul quotidiano “L’Unità”.
Nella primavera successiva alla mostra, Boetti esegue i pannelli detti dei colori. La scritta in rilievo, con effetto tautologico, rimanda al nome del colore industriale che viene steso a spray sulla superficie, come se si trattasse di una carrozzeria.
“(…) con il Beige Sahara e altri sette o otto colori, scrivevo ‘Beige Sahara’ e usavo il colore Beige Sahara”.
Intanto prende un nuovo studio, più grande e luminoso, in corso Principe Oddone. Tra la prima mostra presso la Galleria Stein e la seconda personale, presso La Bertesca di Genova in dicembre, partecipa a tutte le collettive che segnano la nascita dell’Arte Povera, tra Torino, Milano e Genova, in particolare: “Con/temp/l’azione” a cura di Daniela Palazzoli nelle tre Gallerie torinesi Il Punto, Sperone e Stein; “Le parole, le cose – Fluxus: Arte totale” nella Galleria Il Punto e nel Teatro Stabile.
In aprile Cartone ondulato, a forma di ziggurat, viene inserito nel Museo sperimentale d’Arte Contemporanea presso la Galleria d’Arte Civica di Torino. Tra i testi in catalogo, nel saggio Situazione 67, Germano Celant analizza così il lavoro di Boetti: “Le nuove forme monumentali invece di essere di materiali naturali – marmo, granito o altri tipi di roccia – sono realizzate in materiale artificiale, acciaio, formica, plastica, plexiglas (…). Decisamente più imponenti e ‘presenti’ le cataste di tubi in masonite e in plastica di Boetti, sommatorie plastiche di ‘cose’ la cui sola azione di accumulo ha dato un valore autonomo ed essenziale, una specie di ‘catasto’ estetico di elementi allo stato puro, un rifiuto del problema formale”.
Il 16 maggio, AB prende parte, assieme ad Annemarie Sauzeau, Piero Gilardi ed Elio Colombotto-Rosso, alla “Beat Fashion Parade” organizzata al Piper Club di Torino, disegnato e gestito dall’architetto Piero Derossi. La “collezione” firmata da Boetti consiste in abiti di plastica trasparente e colorata, al cui interno si trovavano materiali eterogenei.
In giugno, inizia un work in progress, Formazione di forme. La prima “forma” è quella dei territori occupati da Israele fino al Sinai egiziano, che AB ricalca dal quotidiano “La Stampa” di quella data. Questa e le seguenti “forme” geografiche, registrate su carta e sempre con relative date riprese dal giornale, sono state incise nel ’71 su dodici lastre di rame con il titolo Dodici forme dal 10 giugno 1967.
In luglio partecipa alla collettiva “Confronti” presso la Galleria Christian Stein. Sono presenti opere di Fontana, Klein, Manzoni, Fabro, Kounellis, Lo Savio, Merz, Mondino, Paolini, Schifano e Twombly. Nell’estate compie un lungo soggiorno alle Cinque Terre: nella sua casa a picco sul mare, nel villaggio di San Bernardino tra Vernazza e Corniglia, sperimenta le possibilità della polaroid sul proprio corpo, autoritraendosi in Gran bacino e affidando lo scatto di San Bernardino all’amico fotografo di moda, Robert Cagnoli.
27 settembre – 20 ottobre, Galleria La Bertesca di Genova: mostra collettiva “Arte povera-Im spazio” a cura di G. Celant. AB è inserito nella sezione Arte povera e propone una nuova Catasta, non più di trentasei, ma di dodici elementi. Proprio in quell’occasione il concetto grotowskiano di “arte povera” venne coniato dal critico che scrive a proposito di Boetti: “(…) Il modo della definizione si riduce al modo di agire e dell’essere. Così i gesti di Boetti non sono più un accumulo, un montaggio, dell’incastro e del mucchio (…) Ed ecco le ‘figure’: la Catasta come accumulo, l’incastro come incastro, il taglio come taglio, il mucchio come mucchio, equazioni matematiche di reale = reale, azione = azione”. Successivamente in “Flash Art”, nel saggio Arte povera, appunti per una guerriglia, lo stesso Celant riprende l’argomento e definisce Boetti come colui che “reinventa le invenzioni dell’uomo”.
Dicembre, mostra personale nella stessa Galleria La Bertesca di Genova, ma con nuove opere, tutte riprodotte nel catalogo che costituisce la prima importante pubblicazione riguardante AB per la presenza di scritti lungimiranti di G. Celant, H. Martin, T. Trini. Trenta copie del catalogo sono firmate, numerate e accompagnate da un disegno dell’artista; altre copie presentano quattro serigrafie in cinquanta esemplari: si tratta di schemi industriali “a posteriori” riguardanti non solo i lavori esposti, ma altre opere come il Rotolo del ’66 e la Catasta del ’67. Queste serigrafie sono state realizzate dal genovese Rinaldo Rossi, stampatore d’arte: sarà l’inizio della sua collaborazione stabile con Boetti.
Il 1967 è anche l’anno in cui AB realizza Dama, scacchiera di legno in cui i tasselli sono mobili e presentano vari motivi punzonati che vanno ricomposti facendoli combaciare in modo speculare, come nel gioco del domino. Con I Vedenti, basso-rilievo di gesso, AB affronta la tematica sensoriale della vista, stravolgendola, appropriandosi del linguaggio dell’“altro”, del cieco. Infine Manifesto, opera concettuale che presenta un elenco di sedici artisti italiani, tra cui AB stesso: ad ogni nome sono associate diverse combinazioni di simboli. La stampa offset venne spedita come lettera. Al di là delle diverse e stravaganti ipotesi, la chiave di lettura non è mai stata ritrovata.
1968
Anno di fermenti ideologici e conflitti socio-politici, soprattutto a Torino, città industriale.
“Quelli che non erano di Torino ci venivano per aver conferma di quello che stava accadendo (…). Ma in definitiva non ho mai fatto un corteo. Forse non ero neanche tanto d’accordo, miravo a pensare alle mie cose che assorbivano tutta la mia attenzione”.
Sono di quell’anno la “scultura” Autoritratto negativo, il foto-montaggio Shaman-showman e infine l’altro montaggio Gemelli, che AB spedisce a una cinquantina di amici; da questa doppia immagine deriverà, nel 1971, la nuova firma “Alighiero e Boetti”.
7 febbraio, seconda personale alla Galleria Stein: l’inaugurazione viene documentata da un cortometraggio di Ugo Nespolo intitolato Boettiinbiancoenero. Nel film appare l’opera oggi scomparsa Pack, memorabile per i successivi svolgimenti del tema.
All’inizio della primavera partecipa a diverse collettive tra cui “Arte Povera” presso la Galleria de’ Foscherari di Bologna, curata da G. Celant. Espone Panettone e realizza il manifesto Città di Torino: pianta topografica della città in cui alle strade corrisponde la segnalazione colorata dei nomi degli artisti residenti, compreso lui stesso. L’edizione sarà allegata al catalogo della mostra e consegnata al pubblico.
AB è inoltre presente a due importanti collettive romane: “Il percorso” e “Teatro delle mostre”. Entrambe le esposizioni si configurano come sequenze di performance.
“Il percorso” è organizzato da Mara Coccia, direttrice della Galleria l’Arco d’Alibert, che invita i torinesi Anselmo, Boetti, Merz, Mondino, Nespolo, Paolini, Piacentino, Pistoletto e Zorio ad effettuare una sequenza di eventi: “Al vernissage c’erano gli artisti ma non le opere, che sono nate sotto gli occhi del pubblico in tre giorni di happening”.
Boetti costruisce sul posto tre Colonne con migliaia di tovagliolini di carta smerlata da pasticceria, infilati su tre anime di ferro. L’opera è documentata da un reportage fotografico di Mario Cresci.
“Lo stesso giorno si apriva una mostra di Pascali all’Attico, esponeva i suoi Bachi da seta. Facevamo veramente la stessa cosa, infatti ci siamo molto stupiti, Pino e io, della storia: mentre io andavo a comprare i tovagliolini di carta in pasticceria, lui passava in drogheria per le spazzole colorate che avrebbe messe una accanto all’altra. Si era giunti al limite di una certa possibilità (…)”.
Il “Teatro delle mostre”, a cura di Maurizio Calvesi, si svolge alla Galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis che ricorda così l’evento: “la galleria si trasformò in laboratorio (…) sembrava un palcoscenico o un set cinematografico”. In effetti l’esposizione, il cui originario sottotitolo era “Una mostra ogni giorno – dalle 16 alle 20”, consisteva in una serie di performance con coinvolgimento diretto del pubblico. AB propone Un cielo: “Boetti (…) monta un grosso telaio ricoperto di carta blu, al pubblico vengono affidati i chiodi. Dietro il telaio luci puntate. I chiodi utilizzati per forare la superficie blu (…) ognuno si produce la propria costellazione”.
Plinio de Martiis, portando avanti una sua speciale tradizione, chiese agli artisti di realizzare un “cartello segnaletico” delle performances.
Intanto a Torino si è costituito il “Deposito d’Arte presente”. In alcune foto d’archivio si vedono esposti alcuni lavori di AB: Panettone, Legnetti colorati, l’opera in ghisa Boetti appoggiata al muro e alcuni Cubi di plexiglass riempiti di materiali vari.
23 aprile, Galleria De Neuburg di Franco Toselli, Milano: personale con presentazione di T. Trini. Il titolo della mostra, “Shaman-showman”, corrisponde al fotomontaggio prima ricordato, che viene ingrandito come manifesto della manifestazione e affisso per le strade (esiste anche un’edizione serigrafica di dimensione ridotta). Più tardi Boetti commenterà:
“Showman e sciamano, perché sei sempre uno stregone quando lavori con la mano e la testa (…) e showman perché ogni tanto ti tocca fare anche questo!”.
Sul pavimento, trasformato in greto prosciugato, spiccano le Colonne, Un metro cubo, Panettone, Legnetti colorati (chiamati inizialmente Aiuola), un Pack galleggiante (opera effimera quanto l’istallazione generale)e, nascosto, il Ritratto in negativo.
Se la mostra da Toselli aveva rappresentato l’acme del coinvolgimento dell’artista nell’Arte Povera, la manifestazione autunnale ad Amalfi, “Arte Povera più azioni povere”, promossa da Marcello Rumma e curata da Germano Celant, ne segna l’esasperazione. L’intervento di Boetti è così descritto da Gilardi: “Negli Arsenali Boetti, accampato davanti all’ingresso, accumulava una trentina di gadget e campioni di materiali – tutti etichettati dalla sua galleria – dentro un quadrato di tessuto bianco steso al suolo”.
La mostra dunque segna una svolta radicale, l’allontanamento dall’Arte Povera:
“Con Shaman-Showman ho finito. Dopo ho fatto il lavoro di quarta quadrettata e una matita
per ricalcare. (…) La mostra di Amalfi è stata proprio la nausea della fine”.
In effetti nella stessa installazione di Amalfi erano già presenti lavori con una forte valenza concettuale:
“Vi erano tre pannelli di colori azzurri con tre Date, che avevo richiesto a tre donne in un futuro che a loro interessava, tra cui Anne Marie (…) io avevo l’idea dell’energia che può dare una data”.
Delle tre date solo una era riferita al passato, le altre si pongono come attese, appuntamenti con il futuro.
“Le date? sai perché sono molto importanti? Perché se tu scrivi ad esempio su un muro ‘1970’ sembra niente, ma tra trenta anni… Ogni giorno che passa questa data diventa più bella, è il tempo che lavora (…)”.
“Il tempo che lavora”: nel ’68 AB realizza un pannello ligneo con la scritta 1978, il cui sottotitolo è “l’arte tra dieci anni” e l’anno successivo inciderà in un dittico di legno una “lapide in fieri”: il centenario della sua nascita e la presunta data della sua morte.
Il tempo e la scrittura: sempre nel ’68 AB realizza alcune “azioni povere” che consistono nello scrivere su cemento a presa rapida dei versi tratti da Erodoto (Verso sud l’ultimo dei paesi abitati è l’Arabia), da Marcuse (Per un uomo alienato), da Rimbaud (J’ai embrassé l’aube d’été). Il tempo veloce della scrittura contro il tempo della materia. Tutte queste opere stranamente verranno rese pubbliche ed esposte solo venti anni più tardi.
1969
22 marzo, Berna: si inaugura “Live in your head. When attitudes become form”, a cura di Harald Szeemann. La storica mostra mette a confronto le nuove tendenze americane ed europee, Conceptual Art, Land Art e Arte Povera. AB espone Alighiero prende il sole a Torino il 24-2-1969, Tavelle, Luna (opera scomparsa). In catalogo, nelle schede messe a sua disposizione, aggiunge fotografie di altre opere (anch’esse oggi scomparse), Sole meunière, Tritella e un suo doppio autoritratto fotografico: lui stesso sdraiato sul suolo dello studio accanto al Ritratto in negativo di pietra.
Il 19 aprile, alla prima personale nella Galleria Sperone, AB presenta tre opere di fattura eterogenea: Io prendo il sole a Torino il 24-2-1969 (secondo titolo, che diventerà Io che prendo il sole a Torino il 24-2-1969), Ritratto di Walter De Maria, Vetrata (la quale, ridotta nelle misure, diventerà Niente da vedere niente da nascondere). L’invito su cartoncino riproduce la fotografia San Bernardino, ritratto di Boetti con una mano aperta e l’altra chiusa.
Maggio, sempre Galleria Sperone: AB partecipa alla collettiva “Disegni e progetti” con Territori occupati, opera ricamata su canovaccio, che riprende la prima delle “forme” geo-politiche avviate nel 1967; l’esecuzione materiale del ricamo è affidata ad Annemarie Sauzeau.
“Nella primavera lasciai lo studio che avevo a Torino, era diventato un deposito di materiali, eternit, cementi, pietre… lasciai tutto così com’era. Presi la carta quadrettata. Il Cimento dell’armonia e dell’invenzione consiste nel rifare i quadratini”.
AB inizia una nuova serie di lavori. Il primo esemplare di Cimento dell’armonia e dell’invenzione si chiamava anche 42 ore ed era completato dalla registrazione del silenzio e dei rumori fievoli, durante il tempo di lavorazione: verrà esposto a fine settembre nella mostra “Prospect 69”, alla Stadtische Kunsthalle di Düsseldorf. Il titolo di questo tipo di disegno si riferisce all’opus n. 8 di Vivaldi, che contiene i dodici concerti tra cui le Quattro stagioni, e a una tipologia di musica suonata da AB stesso: “all’epoca Alighiero faceva molta musica, suonava i tablà esercitandosi a composizioni basate sulla proliferazione dei numeri come ritmi musical. ‘Cimento’ significava per lui questo tipo di esercizio, come fare le scale musicali, un ‘cimento’ anche su carta”.
15 luglio, Torino: nasce il primo figlio, Matteo. Nell’estate AB inizia un lavoro in progress, i Viaggi postali: crea venticinque percorsi virtuali per venticinque “viaggiatori”, amici, collezionisti, artisti, tra cui Marcel Duchamp (da poco scomparso), Bruce Naumann (conosciuto in occasione della mostra “Live in your head. When attitudes become form”), l’amico Paolini, il critico Argan e il neonato Matteo.
Il lavoro consiste nel far viaggiare in varie tappe, centottantuno in totale, i destinatari di lettere che non potranno ricevere, visto che non sono rintracciabili agli indirizzi prescelti. Le lettere tornate al mittente, AB, vengono incluse in buste di formato sempre maggiore per raggiungere le tappe successive previste (l’itinerario completo è contenuto nella prima busta).
Il risultato è duplice: da un lato le venticinque buste finali contenenti tutte quelle precedenti costituiscono un’opera unica, i Viaggi Postali; dall’altro le “xerocopie” recto-verso delle buste, di volta in volta eseguite prima di spedire nuovamente la lettera, testimoniano le centottantuno tappe, costituendo il Dossier Postale, edizione di 99 esemplari composta di ben trentaseimila xerocopie, curata da AB e da Clino Trini Castelli. Il Dossier postale racconta i venticinque viaggi immaginari rinchiusi nei plichi finali. La numerazione di ogni esemplare appare, sempre al fascicolo centottantuno, in un timbro, ideato da Clino Trini Castelli, che fa riferimento al “fascicolo 104”, ovvero l’ultima tappa del viaggio di Bruce Nauman.
“È uno dei più bei lavori che abbia fatto. Complicatissimo, è durato un anno”.
Nell’autunno partecipa a diverse collettive, con particolare riguardo ai cataloghi che, allora, venivano considerati dagli artisti stessi come opere, interventi d’arte autonomi.
Realizza i “ritratti” xerox Autoritratto e Ritratto di Annemarie, rispettivamente costituiti da dodici e undici fogli in fotocopia, in cui appare sempre il viso dell’artista intento a comunicare tramite alfabeto muto. Si dedica ad altre sperimentazioni, utilizzando sempre la macchina fotocopiatrice, ad esempio facendo camminare dei pulcini sulla superficie dell’apparecchio.
“Andavo nello show-room della Rank Xerox e pagavo le mie cento lire a copia…”.
Su un vecchio planisfero stampato in bianco e nero, AB colora i territori dei vari stati secondo le rispettive bandiere.
Questo Planisfero politico (in due varianti) costituisce l’idea di partenza sviluppata dal 1971 in poi nelle Mappe ricamate.
Nello stesso tempo prevede di far fare un mappamondo di notevoli dimensioni che mostri solo i rilievi e le profondità marine, senza la presenza delle acque: i contorni dei continenti non avrebbero potuto essere percepibili, l’effetto doveva essere simile alla superficie lunare. L’opera non venne mai realizzata per l’impossibilità di ottenere i dati scientifici esatti delle profondità marine, non reperibili per censure internazionali dovute alla guerra fredda. Esistono due piccoli rilievi in gesso, frammenti-prove del progetto iniziale.
1970
Si conclude la serie dei Viaggi postali; una parte di Dossier Postale è presentata in gennaio a Bologna alla “Terza Biennale Internazionale della giovane pittura”. Boetti inizia i primi lavori basati su permutazione e combinazione di francobolli: il primo Lavoro postale, composto da tre francobolli (con sei possibilità combinatorie, quindi sei buste) viene spedito alla Galleria Sperone.
In aprile a Monaco, nel corso della rassegna “Aktionsraum 1”, effettua una sequenza di azioni, tra cui una conferenza in due lingue, esperanto e italiano; lo strappo graduale di un foglio secondo il meccanismo di Raddoppiare dimezzando; infine, per la prima volta, la scrittura murale a due mani, contemporaneamente verso destra e verso sinistra con il testo “puntopuntinozerogocciagerme”.
Cimento dell’armonia e dell’invenzione (declinato in più fogli) e Millenovecentosettanta sono le sue opere più innovative e di sicuro più presenti in tutte le mostre personali o collettive che, in ambito europeo, definiscono la nascita dell’arte concettuale. Di Millenovecentosettanta, quadrato di quarantanove lettere, esiste una versione in pizzo e un’altra in ghisa a rilievo su e attorno alla quale AB spruzza un alone di vernice verde in occasione di ogni allestimento. Questa “messa al quadrato” di una data è all’origine di tutti i “quadrati” di linguaggio degli anni successivi.
In “Conceptual art, arte povera land art”, esposizione internazionale curata da G. Celant tenutasi alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino, AB espone Millenovecentosettanta in ghisa, immagine scelta come manifesto della mostra stessa.
Tra le altre esposizioni concettuali è di sicuro rilevante “Processi di pensiero visualizzati” presso il Kunstmuseum di Lucerna, a cura di J.C. Amman, dove AB, nelle pagine messe a sua disposizione in catalogo, presenta quattro disegni essenziali abbinati a quattro citazioni poetiche di Jonson, Yeats, Roheim e Hopkins.
Continuano le sperimentazioni su carta quadrettata. Dopo il ricalco e la quadratura di parole, appare nel ’70 una nuova pratica: su semplici foglietti di bloc-notes, AB comincia a scrivere con le virgole, sistema che svilupperà dal ’72 in poi nei lavori a biro.
Per tutta l’estate si ritira, “accampato” nella galleria milanese di Franco Toselli, “chiusa per ferie”: porta al suo sviluppo estremo il gioco speculare tra segni combinatori su una superficie quadrettata, già avviato nel ’67 su scacchiera di legno poi con segni colorati su fogli da disegno; così crea Estate 70, un rotolo lungo venti metri, coperto da migliaia di bollini autoadesivi. Lo stesso meccanismo colorato sarà alla base di un progetto di piastrelle da bagno, mai realizzato.
Alla fine dell’estate AB, nella sua mania seriale, progetta di mettere in ordine progressivo (decrescente) persino la geografia, scommettendo sulla classificazione dei fiumi del mondo, ben oltre i modesti elenchi proposti dalle enciclopedie. Coinvolge la sua compagna nell’impresa. In ottobre Annemarie Sauzeau avvia il progetto di classifica dei mille fiumi più lunghi del mondo, prende i primi contatti editoriali con l’Istituto De Agostini di Novara, con il progetto Geopaedia per Pergamon Press a Londra, e inizia una complessa acquisizione di dati scientifici inediti tramite dialogo “epistolare” con istituti geografici e dipartimenti universitari d’Africa, d’America latina e d’Asia.
La lunga avventura si concluderà nel ’74 con la redazione finale, mentre solo tre anni più tardi avverrà la pubblicazione di Classifying, the thousand longest rivers in the world, volume di oltre mille pagine. L’idea che anima il progetto è chiara fin dall’inizio:
“È un lavoro linguistico nato sull’idea delle classifiche, è fatto sulla misurazione, la geografia non c’entra per niente”.
La posizione concettuale di AB si conferma durante tutto il 1970. Ad esempio in autunno presso il Kunstverein di Hannover, AB partecipa alla rassegna video “Identifications” organizzata da Gerry Schum con una performance in cui, in piedi, di spalle al pubblico, scrive sul muro con le due mani contemporaneamente la frase: Giovedì venti quattro settembre mille nove cento settanta.
A Roma, l’anno si chiude con la partecipazione a un’importante esposizione collettiva: “Vitalità del negativo 1960-70”, a cura di Achille Bonito Oliva, organizzata dagli Incontri internazionali d’Arte presso il Palazzo delle Esposizioni. Boetti espone Cimento dell’armonia e dell’invenzione, nella versione di venticinque fogli.
1971
Con la registrazione del nuovo stato del Bangla Desh nel marzo 1971, si conclude un lavoro in progress avviato nel 1967: la raccolta di carte geopolitiche. L’opera finale, intitolata Dodici forme dal 10 giugno 1967, realizzata in lastre di rame, incise sul modello del ricalco su carta, viene esposta alla Galleria Sperone nell’estate. In autunno uscirà un’edizione cartacea.
Nel frattempo, a fine marzo AB parte per l’Afghanistan dove rimane alcune settimane. Questo sarà l’inizio di un rituale di due soggiorni all’anno fino al 1979.
La scelta dell’Afghanistan ha varie spiegazioni convergenti. Una riguarda un antenato: il domenicano Giovanni Battista Boetti (nato in Monferrato a Piazzano nel 1743) fu inviato a Mossul a capo della Missione Evangelica d’Asia Minore. Successivamente convertitosi all’esoterismo islamico persiano, il sufismo, e considerato “rinnegato” dalla Chiesa romana, divenne sotto il nome di Profeta Mansur uno degli eroi della resistenza contro l’imperialismo zarista in Caucaso, dall’Armenia alla Cecenia. A due secoli di distanza, emergono straordinari parallelismi tra i due Boetti, sia per via dello sdoppiamento identitario sia per il contesto geopolitico.
In effetti due mesi prima della partenza per l’Afghanistan, AB ha duplicato l’unico ritratto esistente di Giovanni Battista Boetti, vestito da giovane domenicano, e l’ha inserito nel catalogo della mostra collettiva “Formulation” (Addison Gallery of Ameri- can Art, Andover) accanto a un altro “autoritratto indiretto”: il suo profilo molto pop, in legno sagomato, dipinto nel 1970 dal pittore torinese Pietro Gallina che l’artista amava esporre nelle mostre tra le sue opere. AB fornisce altre possibili motivazioni:
“Il mio interesse per le cose lontane non è stato realmente determinato quando sono diventato artista. Io consideravo il viaggio da un punto di vista strettamente personale, edonista. L’elemento principale di quest’attrazione era del resto molto preciso: mi affascinava il deserto, e non soltanto il deserto naturale. In una casa afghana per esempio non c’è niente: non un mobile e dunque nessun oggetto che si mette abitualmente sui mobili (…) Ciò che mi attirava di più era l’azzeramento, la civiltà del deserto. L’Afghanistan è un paese di montagne i cui villaggi sono costruiti sui fianchi montuosi, per non sprecare le terre fertili della vallata. Niente è aggiunto al paesaggio: si spostano le rocce e si utilizzano per costruire le case-cubo, come negli acquarelli di Paul Klee, poi si pota un albero per fare la struttura portante”.
A Kabul, fa ricamare due quadrati di stoffa, con due date, 11 luglio 2023 – 16 dicembre 2040, il dittico precedentemente realizzato in due versioni, in legno laccato e poi in ottone.
È l’inizio dei lavori affidati a ricamatrici afghane. Tornato in Italia, a maggio esporrà il dittico nella versione in ottone, in “Arte Povera – 13 artisti italiani”, collettiva tenutasi al Kunstverein di Monaco. Nel catalogo AB chiede (invano) di sostituire le quattro pagine a sua disposizione con un unico foglio bianco di carta industriale, dal peso equivalente, con stampato soltanto il suo nome.
Intanto, spedendo il 4 maggio un primo telegramma (“2 giorni fa era il 2 maggio 1971”) avvia un lavoro essenziale: la sequenza di telegrammi che formeranno Serie di merli disposti a intervalli regolari lungo gli spalti di una muraglia. La regola assunta è quella del raddoppio dell’intervallo di tempo rispetto alla data iniziale di riferimento (2, 4, 8, 16…). AB predispone da subito la bacheca che potrà contenere il massimo numero di telegrammi spedibili nell’arco della sua esistenza. Il quattordicesimo e ultimo sarebbe stato inviato dall’artista nel 2017, all’età di settantasette anni. Nella “muraglia” rimane vuoto lo spazio dell’ultimo “merlo”.
Alla fine dell’estate, nella mostra curata da Achille Bonito Oliva per il “Festival Internazionale del Teatro, Persona” di Belgrado, Boetti rinnova la sua performance della scritta murale con le due mani.
In settembre, AB riparte per Kabul portando con sé alcune pezze di lino, sulle quali è stato disegnato, tramite proiezione fotografica, il mappamondo, colorato secondo le bandiere nazionali (come nel precedente lavoro cartaceo, Planisfero politico del ‘69). Le giovani ricamatrici della prestigiosa scuola reale impiegano un anno intero per ultimare la grande Mappa, sei mesi per quelle di dimensioni minori. Altre Mappe sono parallelamente affidate ad una famiglia nel villaggio di Istalif. Ma il lavoro preparatorio al ricamo si svolge e si svolgerà sempre in Italia. Ogni minimo dettaglio è predisposto: il disegno dei continenti e dei confini degli Stati; le forme ed i colori delle bandiere; l’aggiornamento nel corso degli anni dei confini nazionali e delle stesse bandiere a secondo delle mutazioni politiche; persino la variazione delle regole di proiezione della curvatura terrestre. Le Mappe, per via di tutti questi dati in continua evoluzione e per il racconto sempre diverso scritto nel bordo, sono “auto-datate”.
Ai lavori postali con francobolli italiani, si aggiungono i primi con francobolli dall’Afghanistan.
Durante lo stesso soggiorno afghano nasce a Kabul “One Hotel”, un villino con giardino, affittato nel quartiere residenziale Sharanaw, con l’indirizzo preciso: Zarghouna Maidan. Un’iniziativa del genere era assai facile sotto la monarchia di Zair Shah. La gestione viene affidata alla vocazione alberghiera del giovane Gholam Dastaghir. Le sorti dell’albergo sono state quelle del paese, dovette chiudere dopo pochi anni, ben prima dell’ufficiale occupazione sovietica.
Al rientro dall’Afghanistan, il 24 settembre, AB espone alla Biennale di Parigi, nella sezione italiana affidata alla cura di A. Bonito Oliva. A chiusura della mostra parigina, le stesse opere (Lampada annuale, Viaggi postali, Dossier postale e Dodici forme dal 10 giugno 1967) sono esposte a Roma presso gli Incontri Internazionali dell’Arte, nella collettiva “Informazioni sulla presenza italiana”.
Nello stesso periodo AB inizia a “tratteggiare” certe scritte a biro blu su cartone bianco che giocano con il suo nome e la sua identità: AB, ALIGHIERO BOETTI MADE IN ITALY, ABEEGHIIILOORTT, AELLEI- GIACCAIEERREOBIOETITII.
Infine l’artista comincia a spezzare la propria identità in Alighiero “e” Boetti, assumendo gli equivoci creati dalla sua fotografia gemellata del ’68. Da diverse dichiarazioni risulta che la decisione è stata per lui una vera e propria operazione concettuale: “Ho sempre lavorato sulla metà e il doppio, e l’unità mancante – che quella non c’è mai. Questo meccanismo l’ho usato in parecchi lavori, anche un lavoro come il mio nome e il mio cognome dove si mette una ‘e’ di mezzo (…). Diventano due persone, linguisticamente e non solo: proprio reali visto che alcuni pensano veramente che io abbia un gemello – ed è proprio vero”.
Ordine e disordine nasce nel corso del 1971 come quadratura di linguaggio. Ma rispetto alla quadratura di 1970, di ghisa e di pizzo, la veste materica è diversa: l’opera si forma in negativo, il colore viene spruzzato sulla superficie e filtrato dalla mascherina recante la scritta. Oltre alla composizione formale di sedici lettere, è il concetto stesso veicolato dalle due parole a essere di fondamentale importanza nel pensiero dell’artista:“Ho lavorato molto sul concetto di ordine e disordine, disordinando l’ordine o mettendo ordine in certi disordini, oppure presentando un disordine visivo che fosse invece la rappresentazione di un ordine mentale. Io penso che ogni cosa contenga il suo contrario, occorre cercare sempre l’uno nell’altro: l’ordine nel disordine, il naturale nell’artificiale, l’ombra nella luce e vice-versa”.
1972
Febbraio, mostra personale da Franco Toselli a Milano, “Franco Toselli c/o Alighiero Boetti”. Sono esposti alcuni lavori postali, in particolare Centoventi lettere, basato sulle centoventi permutazioni possibili a partire dal cinque, in questo caso cinque coppie di francobolli italiani di valore e colore diversi.
Questa è la prima opera postale in cui le buste contengono dei “messaggi” da esporre fuori dalle buste: centoventi fogli di carta velina, ognuno con un disegno-puzzle (Pack) a inchiostro nero.
I disegni estratti dalle buste sono stati rilegati in un volume con copertina di tela rossa. Nel mese di marzo, Paolo Mussat Sartor riprende Alighiero Boetti nella sua abitazione in via Luisa del Carretto mentre scrive sul muro con entrambe le mani “Oggivenerdiventisettemarzomillenovecentosettantadue”.
Il 16 marzo nasce Agata, la figlia secondogenita. Dopo il soggiorno primaverile a Kabul, AB porta in Italia le prime Mappe ricamate di dimensioni medie (le due di dimensioni maggiori saranno terminate una nell’autunno successivo, l’altra solo nella primavera del ’73).
“Le prime reazioni furono terribili. Le persone erano infastidite. Bisogna dire che allora pochi artisti avevano fatto eseguire i loro pezzi da artigiani. Era per il pubblico dell’epoca insieme imbarazzante da un punto di vista concettuale e troppo ‘grazioso’. Ma tutti i collezionisti la volevano! (…) Sono torinese, ‘nordista’, ero allora molto più rigoroso, fin troppo rigoroso. A tale punto che non usavo mai il colore nei miei lavori. Andare a vivere a Roma mi ha fatto molto bene: ho optato allora per l’apertura, la generosità, sbarazzandomi di quel rigore eccessivo per il quale, di un’idea unica, si dovesse produrre soltanto un lavoro. Ma è stato Gian Enzo Sperone a convincermi definitivamente (…) Da quel momento mi sono diretto verso la strada opposta, la profusione. Ho assunto la serialità”.
Il numero di maggio della rivista “Data” propone in copertina il particolare di una Mappa. Nello stesso numero compare un articolo di Tommaso Trini dal titolo Abeeghiiilooortt.
18-30 giugno, “Alighiero e Boetti”, personale alla Galleria MTL di Bruxelles: è la prima volta che il nome appare con la “e”.
Entro l’estate AB è presente in quattro importanti esposizioni collettive, con scadenze serrate.
Il 29 aprile in “De Europa” (collettiva di tredici artisti europei) nella Galleria John Weber di New York espone Dodici forme dal 10 giugno 1967.
L’11 giugno, alla XXXVI Biennale di Venezia, curata da Achille Bonito Oliva, ripropone la sua performance di scrittura a due mani.
Il 23 giugno, al Festival dei due Mondi di Spoleto, nella mostra “420 West Broadway at Spoleto festival” espone la sequenza di Dodici forme dal 10 giugno 1967. Infine il 30 giugno a Kassel, nella V edizione di Documenta, a cura di H. Szeeman, presenta un Lavoro postale molto complesso, il primo realizzato a partire da sei francobolli (italiani) di valore e colore diversi. La possibilità di permutazione permette all’artista di arrivare alla cifra di settecentoventi buste affrancate e timbrate, indirizzate alla Galleria Sperone.
Nello stesso periodo ha persino affrontato la permutazione di sette francobolli (italiani), con cinquemilaquaranta combinazioni possibili, ovvero cinquemilaquaranta buste indirizzate in espresso a se stesso, Victoria Boogie-Woogie.
A settembre a Kabul predispone l’esecuzione del primo piccolo ricamo basato sulla quadratura di parole: nasce Ordine e Disordine, di circa 20 x 20 cm, ricamato in tanti colori. Avvia anche un altro tipo di ricamo il cui titolo I Vedenti si riferisce alla scritta centrale, che, imbricata nella trama multicolore, rimane al limite del percettibile.
A ottobre, tornando in Italia, raggiunge moglie e figli a Roma nella nuova abitazione in via del Moro 38, a Trastevere.
Inizia il ciclo delle biro “in negativo” (in riserva bianca su fondo tratteggiato a biro), riprendendo le varie modalità di scrittura del proprio nome, sia con le lettere che lo compongono, sia con il gioco alfabeto/virgole. La struttura di tutti i lavori a biro “scritti” con virgole bianche prevede che ogni virgola assuma valore di lettera se decifrata secondo l’asse cartesiano in cui una variabile è costituita dalla lettura da sinistra a destra, l’altra dall’alfabeto disposto sul bordo.
Aggiunge AEB, ALIGHIERO, AIIEOOEI/LGHRBTT (separando vocali e consonanti). Infine apparirà nel ’73 Ononimo, suprema variante della propria identità, neologismo che fonde i termini omonimo e anonimo: il lavoro è presentato in sequenze di undici fogli inseparabili (11 cifra prediletta) in blu o rosso, mentre altri Ononimo sono singoli (“isolato” come indica AB accanto alla propria firma).La campitura del fondo tratteggiata a biro, lavoro lungo e meticoloso, viene delegata ad altre mani, proprio perché l’anonimato e la diversità della “mano” fanno parte del progetto, anche se con una certa ironia l’artista evoca altri motivi: “Ho fatto eseguire molto spesso i lavori da altre persone, anche se vorrei moltissimo farli io. Mi piacerebbe da matti poter andare in campagna con un foglio di carta bianca e metterci sei mesi a riempirlo. Mi piacerebbe ma non posso. Non ce la faccio, dopo due minuti divento pazzo. Però siccome la cosa mi piace, trovo delle persone che lo fanno, un po’ come nei paesi musulmani dove se non puoi andar alla Mecca, paghi uno che ci va per te e fa le tue preghiere, dice tutte le tue cose…”.
La prima persona chiamata a intervenire nell’esecuzione è un’amica torinese, Gigliola Re, che, considerando il trasferimento di Boetti a Roma, aveva da subito rintracciato un altro collaboratore, romano.
Il numero 62 di “Bulletin”, rivista della Galleria Art & Project di Amsterdam, è dedicato a Boetti con riproduzione su doppia pagina, in bianco e nero, di un’opera postale: sei buste dall’Afghanistan, indirizzate a se stesso a Torino.
1973
20 gennaio, si inaugura la mostra collettiva “Eight Italians” promossa da Sperone presso le Gallerie Art & Project di Amsterdam e MTL di Bruxelles. Boetti espone con De Dominicis, Merz e Zorio (l’altro sottogruppo è formato da Anselmo, Paolini, Penone e Salvo). Oltre a un lavoro postale, AB espone due delle primissime opere a biro in negativo ABEEGHIIILOORT e ALIGHIERO E BOETTI, una “scultura” del 1972 in tre elementi di argento intitolata Tre e una calligrafia Millenovecentosettantadue.
Febbraio, Bari, Galleria Marilena Bonomo: mostra personale “Alighiero e Boetti. Il progressivo svanire della consuetudine”. AB espone l’opera postale Quadratura del dieci del 1972, “autodisporsi” di sedici buste, e alcuni tra i nuovi lavori a biro, in particolare quello che dà il titolo alla mostra.
Marzo, New York: prima personale di AB alla John Weber Gallery. Sono esposti una Mappa e due Lavori postali tra cui Victoria Boogie-Woogie. Esclusa una recensione di Bruce Boice in “Artforum”, questa mostra non suscita molto interesse.
Subito dopo l’inaugurazione newyorkese, Boetti riparte per Kabul. Tornerà in Italia in compagnia del giovane afghano Salman Ali, che rimarrà a vivere con lui e la sua famiglia per tutta la vita dell’artista. Nel corso della primavera lascia l’indirizzo di vicolo del Moro 38 per la vicina piazza Sant’Apollonia, dove, oltre all’appartamento, può disporre di un ampio studio. Le finestre danno sulla piazza di Santa Maria in Trastevere, di fronte alla chiesa romanica.
In maggio, nella personale alla Galleria Sperone-Fisher di Roma, presenta quattro opere importanti: una Mappa, la Serie di merli disposti ad intervalli regolari lungo gli spalti di una muraglia e due grandi lavori a biro, entrambi di colore blu: Il progressivo svanire della consuetudine e il dittico Mettere al mondo il mondo. Lo stesso mese al Palazzo delle Esposizioni, nella X Quadriennale Nazionale d’Arte, presenta due lavori della stagione Arte povera, Lampada Annuale e Manifesto, assieme a un recentissimo Lavoro postale di quattrocentonovantadue buste.
Il 7 giugno, con la personale presso la Galleria Toselli, si conferma una caratteristica già percettibile nelle personali dei mesi precedenti: lavori postali, lavori a biro e mappe ricamate sono ormai tipologie parallele, ricche di interferenze tra loro. Il lavoro così diversificato viene in parte delegato ad altri nella fase di realizzazione manuale – ricami in Afghanistan, biro a Roma – mentre l’artista cura personalmente tutte le fasi dei lavori postali, caratterizzati dall’utilizzo di diverse tipologie di francobolli reperibili nei vari paesi in cui soggiornava.
Viene esposto per la prima volta Serie di merli disposti ad intervalli regolari lungo gli spalti di una muraglia, Giorgio Colombo scatta la fotografia dell’opera in progress.
Il lavoro a biro s’intensifica dopo l’estate, quando AB affida a Maria Angela De Gaetano non solo il tratteggio a biro di diversi fogli (il disegno dei vari segni, dell’alfabeto, delle virgole o delle parole è sempre predisposto dall’artista stesso) ma anche la gestione di altre “mani”, ovvero il coordinamento con altri operatori. Lei stessa racconta: “Sceglievo le persone da tutti i quartieri, di tutte le età e ognuno lavorava in maniera diversa.
L’unica regola da osservare era di non lasciare emergere il bianco tra il tratteggio. Per il resto ognuno poteva lavorare come meglio si sentiva di fare (…). Certuni avevano il tratto più grande, certuni più rigido, altri lo facevano in maniera più meccanica, pensando, sognando, un po’ come la scrittura automatica.
Spesso Boetti non voleva che io gli dicessi chi aveva realizzato il foglio, gli piaceva indovinare. Riconosceva il tratto di una donna, poi mi chiedeva di tutti, chi erano e cosa facevano nella vita. Spesso il lavoro richiedeva un lungo tempo. Personalmente ho impiegato un anno per portare a termine il primo, un foglio unico di un metro e mezzo su più di 4 metri, Il progressivo svanire dalla consuetudine”.
Le prime opere a biro realizzate a Torino erano esclusivamente blu mentre a Roma vengono usati il nero, il rosso, il verde. Nelle prime composizioni il testo è da scoprire mettendo in relazione virgole e alfabeto (verticale o orizzontale): è il caso di Mettere al mondo il mondo (in due o cinque elementi), Immaginando tutto (due elementi), I sei sensi (undici elementi), Il progressivo svanire della consuetudine; lo stesso meccanismo viene applicato ai “ritratti” basati sui nomi di amici e spesso composti da intere famiglie.
Nel frattempo prosegue il tipo di composizione con parole scritte per esteso, in alto nel foglio, tra cui ONONIMO, oppure date scritte in lettere.
Queste scritte sono state scelte in base a diversi criteri: a volte sono i titoli di altre tipologie del proprio lavoro (Dare il tempo al tempo, Raddoppiare dimezzando); a volte sono citazioni (ad esempio l’espressione mistica Sufi, La notte dà luce alla notte).
La realizzazione di queste frasi a biro, in diversi esemplari ma tutti diversi per colore e per tratteggio, si distribuisce nel corso degli anni successivi.
Nel suo studio di Roma Boetti prepara i fogli per le “biro” mentre la sua ricerca più privata continua a essere la carta quadrettata, per la “quadratura” del linguaggio e per la trasformazione di frasi in “costellazioni” di virgole. Nei periodi a Kabul, segue l’andamento dei ricami e intanto al One Hotel realizza opere postali, i disegni da inserire nelle buste, le permutazioni dei francobolli. La più impegnativa tra le opere postali realizzate in Afghanistan è certamente 720 lettere da Kabul: preparata nell’autunno del ’73, è composta di settecentoventi fogli disegnati e completati con uno scritto in farsi, che Dastaghir fu incaricato di redigere poco a poco per poi spedire il tutto a Roma nel corso del lungo inverno afghano, tra il ’73 e il ’74.
“Quando è saltato l’albergo con la rivoluzione e hanno fatto fuori tutto, anche gli alberghi, il mio socio si è trovato lì, con l’approssimarsi dell’inverno, senza lavoro e senza un soldo. Allora io ho organizzato questo lavoro colossale e gli ho chiesto di scrivere durante quei mesi, una pagina al giorno su dei fatti delle sua vita, dell’infanzia, ricordi, racconti (…) Preparai tutto, buste, francobolli, un lavoro lunghissimo. E poi gli diedi 720 fogli su cui avevo apposto un timbro, fatto fare appositamente. Era l’immagine del numero mille (…)”.
In Afghanistan, oltre alle Mappe, fa ricamare le opere Ordine e disordine non più come piccolo arazzo singolo ma in vista di grandi insiemi formati da più elementi, tutti con la stessa frase ma colorata sempre in modo diverso (esiste una composizione di quarantanove elementi, un’altra di cento). Altri “piccoli ricami” seguiranno negli anni successivi.
“Ho disegnato circa 150 frasi che potevano disporsi in un quadrato (…). Oggi quando cado su un’espressione come ‘la forza del centro’ – un precetto yoga – so istintivamente che il numero di lettere che la compone permette di formare un quadrato”.
Fine novembre, Roma: si inaugura “Contemporanea”, curata da Achille Bonito Oliva nel nuovo parcheggio di Villa Borghese. Di Boetti sono esposte le opere Ping Pong e Dodici forme dal 10 giugno 1967. Caroline Tisdall, sul “Guardian” londinese, recensisce la mostra come “la più ampia mai realizzata in Italia, con quasi cento artisti, una vera sfida rispetto a Kassel” e aggiunge a proposito di Boetti: “(…) Con l’opera di Boetti si avverte l’artista come figura distante, anonima in un certo senso, ma che osserva e registra gli eventi del mondo reale.
Una delle sue opere presentate è una serie di lastre di rame inciso, carte geografiche, una per lastra. Sono le mappe di tutti i luoghi del mondo in cui negli ultimi anni sono avvenute delle atrocità politiche. Tal’è l’uso discreto della materia che queste mappe mute diventano forme allo stato puro se non conosci le situazioni e le loro implicazioni”.
AB acquista un antico casale nei dintorni di Todi in Umbria: diventerà per eccellenza il luogo di stabilità emotiva e familiare, a compensare l’irrequietudine nomade del “gemello”.
1974
AB pensa già da due anni alla necessità di creare un portfolio che raggruppi disegni e progetti della sua attività passata e presente e così coinvolge lo stampatore Rinaldo Rossi, che aveva già lavorato con lui nel ’67.
Quando si concluderà nel ’76, con ottantuno tavole, il portfolio prenderà definitivamente il titolo di Insicuro noncurante. Forse nel corso della realizzazione di questo lavoro, l’artista si accorge che alcune opere relative ai disegni che sta raccogliendo sono scomparse: si tratta di sei opere esposte a Genova nella personale del dicembre 1967 presso la Galleria La Bertesca e riprodotte nel relativo catalogo. Dunque autorizza per iscritto un amico gallerista milanese a rifare “le opere in cemento eseguite nel 1967 e andate distrutte. Prima: 100 quadrati e A coltello”: in realtà questi lavori non verranno mai eseguiti e di essi rimangono oggi solo le fotografie storiche.
Nel numero di primavera della rivista “Data” esce un articolo di T. Trini intitolato Alighiero Boetti: i primi 1000 fiumi più lunghi del mondo, la cui classifica in effetti è quasi terminata. In aprile, Boetti parte per l’Afghanistan in compagnia di Francesco Clemente.
In maggio al Kunstmuseum di Lucerna, AB partecipa alla collettiva “Ein Werk für einen Raum” (ogni artista con un unico lavoro in una stanza di 7×7 metri), curata da J.C. Amman.
Scrive Amman nel catalogo: “Forma non significa formalizzazione, piano astratto dell’opera. Partendo sempre dalla vita, Boetti dà all’opera una ricchezza di aspetti le cui formalizzazioni, spesso lapidarie, costituiscono una cifra per il cosmo: Ordine e disordine disposto in un quadrato ne è un esempio”. Il curatore legge una continuità nel lavoro, tramite nozioni come “il problema dell’armonia” o “l’annullamento delle contraddizioni come intento categorico”.
Nell’estate, viaggia in Guatemala, da dove riporta la serie di fotografie Guatemala, sul tema del sé e dell’altro.
“(…) quattro fotografie scattate da quattro fotografi accorsi alla festa del paese con relativi fondali. Ogni foto fu stampata in due copie, una a me, l’altra al compagno della fotografia.
Qui, lo straniero della foto è il Guatemalteco; laggiù, nella foto appesa al muro di qualche casa arrampicata a uno dei tanti vulcani, lo straniero sono io”.
Ottobre, New York, Museum of Modern Art: si inaugura “Eight contemporary artists” a cura di Jennifer Licht. Sono presenti lavori di Vito Acconci, Alighiero Boetti, Daniel Buren, Hanne Darboven, Ian Dibbets, Robert Hunter, Brice Marden e Dorothy Rockburne. AB espone alcuni grandi lavori a biro, tra cui tre “autoritratti”, Alighiero e Boetti, Abbeeghiilort e aelleigiacca…, e un Mettere al mondo il mondo, composizione a biro con virgole.
Altre mostre si succedono nel corso dell’autunno, tra cui due personali presso Annemarie Verna e presso la Galleria Sperone di Torino e una collettiva “Ghenos Eros Thanatos”, curata da Alberto Boatto, a Bologna presso la Galleria de’ Foscherari. Boetti presenta La Stampa – The Kabul Times, 1973, e la versione definitiva in ottone del dittico 16 dicembre 2040 – 11 luglio 2023.
A seguito di Cimento dell’armonia e dell’invenzione appare una nuova tipologia di opere, eseguita su carta quadrettata formato 70 x 100 cm. La procedura consiste nell’annerire a biro alcuni dei quadratini (come già avvenuto in Autodisporsi, l’invito della Galleria Verna) secondo vari meccanismi aritmetici: equivalenze quantitative tra addizione e sottrazione, alternanza tra pari e dispari, infinito potenziale della moltiplicazione, numeri periodici – sempre a partire da regole elementari in grado di permettere un’infinita invenzione.
“Il numero è l’unica entità reale che esiste nell’universo. I numeri sono le uniche entità che esistono in modo autonomo nel senso che, se è vero che per convenzione abbiamo messo la B dopo la A, non è detto che è per convenzione che mettiamo il 2 dopo l’1, è una terrificante realtà. Ecco, per esempio quando vedo un quarzo, io non posso vederlo come una cosa morta, lo vedo come una formula di numeri che ad un certo momento – forse perché arriva una goccia e si produce qualche procedimento chimico – scatta e viene fuori in un attimo questo esagono perfetto, cristallino, queste molecole che si sono incastrate perfettamente (…) Fibonacci insegna, il numero dei semi dei girasoli si sviluppa secondo una serie precisa. I numeri sono delle entità pazze, totalmente pazze (…)”.
Nascono MILLE, Quadratura del Mille, TRENTUNO PER TRENTUNO PIÙ TRENTANOVE, Pari e dispari, Storia naturale della moltiplicazione, a proposito della quale AB spiega:
“Contrariamente alla progressione lineare e univoca dell’addizione, la moltiplicazione procede secondo un doppio processo mentale: la crescita interna a ciascuna forma corrisponde a una crescita equivalente nel numero delle forme”.
Questi lavori sono stati tutti disegnati a matita dall’artista poi anneriti a biro nera dall’assistente Maria Angelica (Angela?) De Gaetano; i primi saranno esposti entro l’anno successivo, nel 1975.
Le opere a ricamo vengono eseguite parallelamente ai lavori a biro: infatti, a partire da Ordine e disordine, molte frasi verranno utilizzate in entrambe le tipologie anche nel corso degli anni ottanta come ad esempio Dare tempo al tempo e Ammazzare il tempo.
AB comincia a realizzare i primi Calendari, selezionando tra i trecentosessantacinque fogli di un comune calendario “effemeride” solo quelli contenenti uno o più numeri utili a comporre la cifra del nuovo anno, cifra che determina il numero variabile dei lavori realizzabili. Doni augurali creati esclusivamente per gli amici, daranno luogo a una tradizione viva fino all’ultimo capodanno.
1975
All’inizio dell’anno partecipa alla collettiva “24 ore su 24 ore” nella Galleria l’Attico di Fabio Sargentini, esponendo cinquanta schizzi di Bombe ordigni origami e altro, tracciati su fogli “extra strong”, Estate 70 (il rotolo di 20 metri realizzato nel 1970) e alcuni ingrandimenti fotografici di barzellette riguardanti l’arte contemporanea, ritagliate dai giornali e raccolte sotto il titolo di Riso.
Tra gennaio e febbraio, per preparare la mostra alla John Weber Gallery, passa un mese intero a New York con moglie, bambini e Salman Ali, in un loft del quartiere Tribeca, 10 Bleecker Street.
Fa amicizia con LeWitt, Weiner, Kossuth e Bockner. Questa sua seconda mostra personale da John Weber apre l’8 febbraio, con due grandi lavori su carta quadrettata, Storia naturale della moltiplicazione e Trentuno per trentuno più trentanove. La mostra è accompagnata da un estratto del saggio scritto nel 1972 da Tommaso Trini, Come non deragliare parlando di Alighiero Boetti. Trini stesso recensirà la mostra nel numero di giugno di “Data”. L’unica recensione americana, di Susan Heinemann in “Artforum”, è molto negativa.
Weber organizza inoltre per l’artista un seminario alla Art School dell’Università di Hartford, nel corso del quale AB esegue alcune performance, tra cui Due modi diversi di fare due cose diverse e Raddoppiare dimezzando.
I tentativi editoriali presso la New York University Press per pubblicare il Libro dei Fiumi (redatto in inglese) risultano vani. Di ritorno in Italia Annemarie Sauzeau, riflettendo sui tre anni di esperienza americana (Galleria Weber, MoMA, università ed editori), scrive al fedele John Weber: “(…) La nostra conclusione dopo New York, dopo aver letto ad esempio le recensioni delle mostre, è che il lavoro di Alighiero e lui stesso non sono capiti in America. Tu sei un’eccezione perché l’hai capito, ed è bello. Dico questo senza amarezza, tutto va per il meglio e le cose cambieranno. Mi riferivo soltanto alla situazione attuale (…)”.
Maggio, Napoli, mostra personale presso la Galleria Pasquale Trisorio: “boetti 1966”. Sono riproposte opere del periodo Arte Povera: Scala, Sedia, Mancorrente metri, PING PONG, Zig Zag, Mimetico, nonché pannelli con parole: CLINO, STIFF UPPER LIP o, con indicazione di colori, 01.130 verde vagone, 1133 rosso adrianopoli, 2233 bleu positano.
A Monaco di Baviera, la Galleria Area presenta una piccola personale sul tema esclusivo del doppio, “Zwei”, catalogo curato da Bruno Corà. La mostra verrà ripresa in novembre nella sede di Firenze, con l’aggiunta di un leggio da Corano, objet trouvé prediletto, comprato in diversi esemplari a Kabul per regalarlo (a volte con il suo nome inciso). In giugno, una personale alla Galleria Sperone di Roma ripropone Storia naturale della molteplicazione.
Nel corso dell’estate, viaggia in Sudan ed Etiopia da dove spedisce lavori postali, tra cui Codice, Eritrea libera. Si spinge fino a Harrar, in omaggio al Rimbaud abissino, con il seguente ricordo, tre anni dopo:
“Rimbaud era arrivato in Africa con la nave. Quella sì era un’avventura. Nel 1975 quando io sono stato in Etiopia, un ragazzino mi chiese in inglese se volevo vedere la casa di Rimbaud. Io gli chiesi chi fosse costui. ‘Ah, disse, uno che dava lezioni di francese’. Quello che intendo è che l’immaginazione ormai non offre più nulla di simile a quella nave che portava verso nuovi orizzonti”.
In ottobre alla XIII Biennale di San Paolo del Brasile, è presente con Storia naturale della moltiplicazione, pezzo scelto dal commissario per la partecipazione italiana, Bruno Mantura.
Entro settembre si intensifica il riordino, avviato dal ’73 con Rinaldo Rossi, della profusione di disegni, foto, gesti e idee, per ultimare il portfolio Insicuro noncurante, che viene presentato il 23 ottobre alla Saman Gallery di Genova.
Un disegno, fatto di trattini e croci su carta quadrettata, intitolato inizialmente I pini non crescono in un giorno, subisce successivi sviluppi: nella cartella Insicuro noncurante viene inserito con sagoma raddoppiata assumendo il nuovo titolo Verificando il dunque e il poi se ne andò piano piano verso il canto di una pineta (citazione da Metastasio); mentre nel 1979, trasferito su stoffa ricamata in bianco su bianco, il disegno diventerà L’albero delle ore. Così Boetti spiegherà la forma triangolare della composizione: “Il campanile della chiesa di Santa Maria in Trastevere suona le ore e i quarti d’ora con due note differenti. Ogni quarto d’ora si sente dunque suonare come minimo un colpo (l’una) e come massimo quindici colpi (mezzogiorno e tre quarti). Questa progressione, trascritta in due segni come due note, forma un doppio triangolo, del giorno e della notte”.
Nel corso dell’anno appaiono tre piccoli disegni: Gradine51, sagoma umana disarticolata lungo i gradini, Giogare e San Patrick, che verranno successivamente integrati nelle due grandi versioni su carta velina, intitolate Collo rotto braccia lunghe (1976).
“Avevo fatto quel lavoro pensando a qualcuno che ha la capacità di poter ruotare il collo di 360 – un collo rotto ovviamente – e inoltre pensavo al cieco intervistato da Diderot sul problema della cecità. Diderot era ossessionato da questo problema e aveva fatto un libro intero sui ciechi, li intervistava, chiedeva loro cos’è uno specchio e così via; ad uno aveva chiesto se gli sarebbe piaciuto vedere la luna e l’altro aveva risposto di no, che gli avrebbe fatto piacere toccarla, avere delle mani lunghe per poterla toccare (…) il desiderio di toccare da lontano (…)”.
Classifying, the thousand longest rivers in the world è terminato e mentre prosegue la ricerca di un editore Boetti prepara il trasferimento dello stesso elenco su stoffa in vista di uno o più arazzi da fare ricamare a Kabul, I mille fiumi più lunghi del mondo. Come fasi propedeutiche, vengono disegnati e fatti eseguire nel corso dell’anno tre “ritagli” di prova, con nomi e lunghezze di fiumi scritti a “pixel” che andranno ricamati in tre varianti di colore. Nelle due ampie versioni definitive, avviate nel ’76, si snoda in righe orizzontali di più di cinque metri l’elenco completo dei fiumi in ordine decrescente (dal primo fiume, il Nile-Kagera, fino al millesimo, l’Agusan).
Tramite Francesco Clemente, AB incontra Giovan Battista Salerno, un giovane critico d’arte con cui instaura un rapporto di forte e durevole affinità intellettuale. Tra le altre amicizie si è intensificata quella con Mario Schifano, conosciuto all’inizio della permanenza a Roma. Sul legame tra i due, dice Salerno: “(…) Credo che Alighiero stimasse in Schifano una certa libertà eclettica, il fatto che potesse praticare biciclette e polaroid! Eclettico non come dilettantismo ma come modo enciclopedico di prelevare a partire da tutto: dal cinema alla festa o alla progettazione di biciclette. Credo si intendessero molto su questo”.
1976
La rivista “Studio International” dedica tutto il numero di gennaio-febbraio all’Italia: Italian Art Now, con saggio introduttivo di Achille Bonito Oliva (Process, Concept and Behaviour in italian art), e altri interventi di Germano Celant, Annemarie Sauzeau Boetti, Barbara Radice, Caroline Tisdall e Luca Venturi.
Gli artisti scelti sono presenti con interviste illustrate oppure con quattro pagine gestite direttamente da ciascuno. Delle pagine di Boetti, le prime due (una fotografia e otto piccoli disegni) sono figure prese dal portfolio Insicuro noncurante; la terza pagina è intitolata “Classifying the Thousand Longest Rivers in the World, 1970-74, a book by anne-marie and alighiero boetti” ed è la lista battuta a macchina dei mille nomi di fiumi in ordine di lunghezza decrescente, con alcune correzioni apportate a penna; infine nella quarta pagina appare la fotografia di Estate 70, indicato come “summer 1970, a roll of paper 20 x 2 meters self-adhesive dots in 4 colours”.
Il portfolio Insicuro noncurante viene presentato in marzo allo Studio Marconi di Milano e a maggio alla Galleria D’Alessandro-Ferranti di Roma. A proposito del portfolio, Boetti suggerisce allora a Giovan Battista Salerno di avviare un “manuale di conoscenza” dell’opera. Del progetto, Salerno ha scritto: “Sin da principio abbiamo progettato di fare insieme un ‘Manuale di conoscenza’.
Quello che lui sperava di fare era ‘per ogni opera’ un testo, breve, che non fosse né una lettura critica né una cosa giornalistica, né una pura e semplice informazione, ma tutte queste cose messe insieme – e che facesse perdere un po’ meno tempo nella percezione di uno che guarda, che sta lì a considerare la parte estetica, estetizzante nel lavoro quando pur essendo questa parte super presente e super sontuosa, ci sono anche delle cose che a volte ti danno uno scatto mentale che non sempre è così evidente, certi trucchi, codici…”.
Lo stesso Salerno è l’autore del testo di presentazione del portfolio nel bollettino “Studio Marconi n° 5”.
In ottobre a Düsseldorf nella mostra “Prospect Retrospect, Europa 1946-1976”, che si tiene presso la Kunsthalle, a cura di Benjamin H.D. Buchloh, Rudy Fuchs, Conrad Fisher, John Matheson e Hans Strelow, Boetti è presente con opere recenti su carta quadrettata. Pochi giorni dopo Düsseldorf, a Brescia presso la Galleria Banco di Massimo Minini, si inaugura la personale “quadrare diagonando. alighiero e boetti”. “Quadrare diagonando” si riferisce al piccolo disegno (già apparso nella cartella Insicuro noncurante) proposto nell’invito e presente in una delle opere esposte, tra i trentasei simboli grafici che costituiscono Gli anni della mia vita.
La mostra di Brescia segna una tappa importante nello svolgimento dell’opera di Boetti poiché propone opere rivelatrici di una complessità crescente, data dalle tipologie parallele: La notte da luce alla notte, lavoro a biro del ’75, La metà e il doppio, disegno a china su carta quadrettata, e un Autodisporsi, entrambi del ’74.
Viene esposto Prima e quarta di copertina, uno dei primi montaggi con ricalchi di copertine che preannunciano le ampie serie di immagini da rotocalco, tema ricorrente negli anni ottanta. Infine realizza un manifesto a partire da una sequenza fotografica in bianco e nero, scattata da Gianfranco Gorgoni nel ’75, in cui si vedono la testa, le braccia e le mani dell’artista mentre traccia una linea con la matita su un foglio di carta.
L’immagine, successivamente intitolata Due mani, una matita, viene definita dall’artista stesso “Due arti e una matita”. La stessa composizione era subito divenuta un disegno a matita, Senza titolo56, che sarà la matrice per tutta la sequenza di opere su carta, Tra sé e sé.
1977
16 febbraio, la Galleria Marlborough di Roma presenta “Alighiero e Boetti”: vengono esposti Niente da vedere niente da nascondere (1969); 720 lettere dall’Afghanistan (1973-1974); un’opera a biro, Segno e disegno; Collo rotto braccia lunghe (1976) e la versione a inchiostro di Gary Gilmore (1977).
L’attenzione dell’artista è catturata dalle morti violente, da “un’immagine del dolore, nel contempo estatico e intollerabile”57: AB ricalca le sagome di Pasolini e di Gary Gilmore, condannato a morte che sceglie di non chiedere la grazia.
“Ho scritto per tre giorni di seguito, con la sinistra, la sua intervista, gli ultimi momenti, quando gli hanno infilato il cappuccio a forza, perché non potevano più guardarlo. Aveva la mia età.”
Nella stessa occasione presenta anche Orologio annuale (orologio da polso, edizione GEM Montebello numerata in duecento esemplari) ed è l’inizio di un altro rituale simile a quello dei Calendari avviato nel 1974, ovvero un nuovo appuntamento annuale con un “contatore” del tempo.
Tra febbraio e aprile a Zurigo, da Annamarie Verna, ha luogo una personale in due tempi. L’invito è una pagina in bianco e nero, con un dettaglio ripreso da Gli anni della mia vita del ’75. Le opere esposte nella prima fase sono l’insieme delle tavole della cartella Insicuro noncurante e un disegno inedito Vista dallo studio (composizione che diventerà Tracce del racconto nella mostra collettiva di San Remo nel dicembre successivo). Nella seconda sessione della mostra è esposta, da sola, l’opera a biro I sei sensi in undici fogli blu. Contemporaneamente, a Firenze, la Galleria La Piramide Multimedia presenta opere di AB essenzialmente su carta quadrettata, tra cui Autodisporsi e Alternando da uno a cento e viceversa che l’artista commenta in questi termini:
“Ho telefonato a un ragazzo di Milano e gli ho spiegato un sistema: quello di mettere cento quadrati da cento quadratini l’uno e di partire in alternanza, uno nero, due bianchi e così via. A questo punto mi ha spedito il foglio e il lavoro è finito e insieme cominciato. Per me così si annulla il problema della ‘qualità’: che questo lavoro venga fatto da me, da te, da Picasso o da Ingres, non importa. È il livellamento della qualità che mi interessa”.
Inoltre l’artista dispone l’esecuzione di una versione ricamata dell’opera: sarà una delle fasi di questo tema aritmetico, non l’ultima.
AB è impegnato con il disegnatore Guido Fuga al progetto di trittico Aerei:
“C’è una ditta torinese che ha messo in vendita una quadricromia a strisce di un paesaggio esotico a poco prezzo. Vorrei far qualcosa di simile: vorrei far disegnare a un collaboratore mille aerei su un foglio con un fondo più blu del presepio, aerei precisi con tutte le prospettive, con tutte le angolature, che provocano il desiderio. Deve essere un’esplosione!”.
Il 31 marzo, personale alla Galleria L’Ariete di Milano: tra le altre opere, i due recenti disegni Gary Gilmore e Collo rotto braccia lunghe (versione a inchiostro), Alternando da uno a cento e viceversa (disegno su carta quadretta), un lavoro postale. Nella sala adiacente, l’Ariete-Grafica presenta: l’Orologio annuale e l’“edizione” di quarantacinque esemplari per ognuno dei due piccoli ricami (Per nuovi desideri e Udire tra le parole) realizzati appositamente per la galleria.
È da notare che il termine “edizione” deve essere inteso in un’accezione specifica in relazione ad AB: si tratta infatti sempre di sequenze di esemplari unici, che lui stesso chiamava “multipli singoli” in quanto lavorati a mano e con caratteristiche inevitabilmente diverse, dalla colorazione al tratto. Questo vale non solo per i ricami, ma anche per altre tipologie di opere.
Inoltre, sempre nella Galleria L’Ariete, vengono esposti alcuni esemplari del manifesto stampato in offset Faccine. In proposito, la rivista “Data” (n. 26) pubblica l’immagine a piena pagina, con questa didascalia: “Manifesto di cm. 140×100, edito dalla Multhipla di Milano, e tirato in 5000 esemplari in bianco e nero. Alcuni di questi manifesti sono poi stati dati da colorare ai bambini della scuola Casa del Sole, e quindi esposti in galleria. Il manifesto bianco e nero in vendita in galleria costa L. 3000, quelli colorati dai bambini costano invece L. 5000”. Altri esemplari verranno poi affidati ad amici e collezionisti con l’invito a colorare il disegno.
In aprile, al suo undicesimo viaggio in Afghanistan, AB porta con sé per un mese il figlio Matteo di sette anni.
Al ritorno, in maggio, partecipa alla collettiva torinese “Arte in Italia 1960-1977” a cura di Barilli, Del Guercio, Menna, presso la Galleria Civica d’Arte Moderna, con l’opera Cimento dell’armonia e dell’invenzione. Il lavoro non è recente ma perfettamente consonante con il tema della sezione curata da Renato Barilli “Dall’opera al coinvolgimento”, imperniata sull’eredità del neodada fino all’Arte Povera e l’avvio del concettualismo italiano.
Scrive Barilli: “(…) Boetti si è già dedicato all’esame di certe possibilità seriali e combinatorie; però a differenza di quanto avveniva nella serialità di ispirazione minimale, le sue prevedono sempre l’intervento dell’altro”.
AB continua a predisporre sia opere a biro, in sequenze distribuite su diversi fogli (così ad esempio Seguire il filo del discorso, in cinque fogli), sia nuovi ricami per Kabul, di medie dimensioni (50 x 60 cm circa) con frasi lunghe e poetiche: Sandro Penna io vivere vorrei addormentato entro il dolce rumore della vita, Verificando il dunque e il poi se ne andò piano piano piano piano verso il canto di una pineta (citazione da Metastasio) oppure Ordine e Disordine, con scritta bianca su fondo nero.
7 ottobre, Centre d’art contemporain, Ginevra: nella mostra “Alighiero e Boetti” sono esposti una Storia naturale della moltiplicazione in undici pannelli, la sequenza di telegrammi Serie di merli disposti ad intervalli regolari lungo gli spalti di una muraglia, il disegno Gli anni della mia vita ed un ricamo bianco e nero Segno e disegno, con la scritta che si snoda a spirale, fino a concludersi con la O al centro.
Il 29 novembre, la Galleria Il Collezionista di Roma presenta il trittico Aerei, la mostra s’intitola esattamente “Alighiero Boetti in collaborazione con Guido Fuga disegnatore”. Le prime righe della recensione di Maurizio di Puolo traducono bene lo stupore generale che l’opera suscitò: “tre grandi cieli blu dove volteggiano centinaia di aeroplani. La galleria è vuota e solo, in una saletta illuminata a giorno, questo trittico assurdo porta una ventata di geniale pazzia. Non c’è titolo e gli autori sono sdoppiati, anzi triplicati; Alighiero, Boetti e Fuga”.
L’anno successivo, alla domanda di J.C. Amman circa il significato dell’opera Aerei, AB risponderà:
“Credo di averlo fatto perché oggi tutto mi appare simultaneo e contemporaneamente superficiale”.
In dicembre, nella collettiva “La traccia del racconto, 21 artisti italiani contemporanei”, Villa Comunale Ormond di Sanremo, AB espone Undici fogli Afgano- Etruschi (Le parole che uccidono) del 1976 e una seconda versione del disegno già esposto a febbraio a Zurigo sotto il titolo Vista dallo studio (d’ora in poi entrambe le opere avranno come titolo Tracce del racconto). Nel catalogo Corinna Ferrari scrive a proposito del rapporto di AB con i linguaggi: “All’assuefazione dell’uso si vuole contrapporre un’attenzione sottile, un’intuizione priva di pregiudizi, capace di riattivare l’apparenza dei segni e di cogliere, attraverso un sistema logico non scontato in partenza, i varchi, le aperture attraverso le quali i segni entrano in rapporto tra loro, o mutano registro. La predilezione di Alighiero per le mappe, le tavole geografiche e geometriche, i diagrammi, credo rifletta il desiderio di individuare i luoghi privilegiati in cui si effettuano questi spostamenti semantici”.
1978
5 marzo, Kunsthalle di Basilea: prima antologica di Boetti, a cura di Jean-Christophe Amman.
Sono presenti quasi sessanta opere tra cui il finora mai esposto insieme di (ventiquattro) Viaggi postali, completato dal Dossier postale che ne costituisce la “radiografia” progressiva; alcuni lavori di grandi dimensioni come Cimento dell’armonia e dell’invenzione in venticinque elementi (1969), Estate 70, I sei sensi, polittico in undici pannelli (1973), 720 lettere dall’Afghanistan, la grande Mappa (1971-1973), Ordine e disordine, composto da cento ricami (1973), I Vedenti, insieme di cinque ricami. Inoltre ci sono opere recenti, presentate nella stagione precedente in Italia, come Collo rotto e braccia lunghe, Gary Gilmore, Aerei; il Libro dei Fiumi (che il pubblico poteva sfogliare) e un nuovo grande ricamo Titoli.
In quell’occasione viene girato il film di Emidio Greco “Niente da vedere, niente da nascondere”, ancor oggi fondamentale film-documento e film d’artista.
Tra marzo e maggio AB partecipa alla collettiva De Foscherari “Le figure del tempo”, presente in due delle tre sezioni (con Lampada annuale e Cimento dell’armonia e dell’invenzione).
Il 6 maggio la Galleria Mario Diacono di Bologna ripropone Collo rotto, braccia lunghe e Gary Gilmore; Diacono scrive e pubblica in opuscolo un’illuminante analisi del concetto di “mano sinistra” nell’opera di Boetti, con il neologismo di “sinistritudine” ovvero stacco tra idea ed esecuzione, “mano sinistra dell’essere (…), l’ipersignificante con cui l’è di Boetti ha doppiato/copiato i significati e referenti sociali”, fino a diventare in altre opere “quel corpus di artigiani che nel corso degli anni ha ‘fatto’ materialmente alcuni dei suoi lavori”.
11 maggio, Roma, Galleria Liverani: si apre “Pas de deux”, collettiva a cura di Annemarie Sauzeau Boetti e Giovan Battista Salerno. AB, in duetto con Berty Skuber, presenta Regno animale, prima composizione della tipologia di opere Tra se e sé, di cui scriverà nell’81 in occasione della mostra alla Galleria Chantal Crousel: “Una linea retta unisce la matita di Alighiero e la matita di Boetti. Una specie di Ping Pong. Gli animali, anche una pietra e per evitare privilegi anche un motorino (il mio), seguono una loro strada, meglio, orbita. È il lavoro più silenzioso che abbia mai fatto. Questi animali attraversano il foglio portando nella loro immagine il ricordo di milioni e milioni di loro predecessori e ti ricordano il tempo, quello antico, lento, anonimo, identico, immobile, invariato”.
Il libro Classifying the thousand longest rivers in the world, finalmente pubblicato e presentato a Basilea, è promosso in varie gallerie, ad esempio da Paul Maenz a Colonia il 31 maggio e a Roma presso Il Cortile il 13 giugno.
Il 2 luglio AB è presente alla XXXIX Biennale di Venezia, “Sei stazioni per Arte natura/La natura dell’arte” a cura di J.C. Ammann, A. Bonito Oliva, A. Del Guercio e F. Menna con l’opera Dodici forme a partire dal 10 giugno 1967.
Nella recensione della Biennale in “Data”, è documentato un insieme molto significativo della produzione concettuale di AB a partire dagli anni dell’Arte Povera, tra cui il Manifesto del 1967, il Dossier postale (1969- 1970), un Lavoro postale spedito da Kabul nel 1971, fino al più recente disegno a inchiostro Gli anni della mia vita 1976. In effetti, nel corso dell’anno AB si dedica sempre più alle sue realizzazioni private su carta, con tecnica mista (inchiostri colorati, pochoir, collage, frottage, massage, punzonatura) compresa la calligrafia a matita con la mano sinistra, creando una sorta di narrazione diaristica circa le proprie pratiche.
“Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo. Così scrivevo a due mani partendo dal centro verso l’esterno fino alla massima estensione possibile delle mie braccia. Misurai un metro e ottantatre centimetri la mia unità di estensione. Era il marzo del millenovecentosettanta a Torino”.
“Agosto Millenovecentosettantotto a Roma Alighiero e Boetti preparano alcuni disegni collage e/o altro prima di intraprendere nuovi grandi lavori. Sono particolarmente solo e ho trovato una precisa analogia in merito alle virgole, comma in inglese, mi piace di più, con Mallarmé (…) Sto usando materiali del passato, scorie, avanzi, cataloghi (…) La base è il pack che credo rappresenti il mio cervello in questo tempo”.
O ancora, a proposito della foto di sé con pugno chiu- so e pugno aperto, opera del 1968 intitolata San Bernardino: “Dieci anni fa ten years ago a San Bernardino- Vernazza fotografato da Robert Cagnoli del quale ho perso le tracce da diversi anni – non ricordo il colore del maglione certamente non l’ho più – la foto servì da cartolina-invito alla mia prima mostra da Sperone (…)”.
Il 14 dicembre presso la Galleria Stein, l’invito della mostra personale presenta alcune frasi “fatte quadrare” su carta quadrettata. D’altronde questa era la fase preparatoria di tutti i ricami di lettere eseguiti poi in Afghanistan. AB espone solamente ricami, tra cui Ordine e disordine in cento elementi, il grande ricamo Titoli e un Segno e disegno bianco e nero.
1979
Il 1979 è l’anno sotto il segno del lutto e dell’instabilità personale. Tutto inizia con la perdita della madre, Adelina Marchisio, il 2 marzo e finirà con l’altra perdita, quella dell’Afghanistan tanto amato, invaso dalle truppe sovietiche in dicembre.
Inquieto circa l’andamento politico a Kabul, già il 17 febbraio spedisce a se stesso a Roma una lettera affrancata con il francobollo della nuova bandiera nazionale, tutta rossa. Al ritorno studia le possibilità (ma senza seguito) di far d’ora in poi ricamare i suoi arazzi in Italia o in Marocco. Intanto predispone l’esecuzione del grande ricamo bianco l’Albero delle ore.
A Kabul il One Hotel è in difficoltà; Dastaghir, il gestore, manda lettere allarmate (con altri francobolli eloquenti).
La salute di AB si deteriora, anche il suo umore. Partecipa senza entusiasmo a molte collettive che fanno il punto sulla situazione internazionale dell’arte concettuale tra Germania, Stati Uniti e luoghi pubblici a Milano e Bologna.
Il 5 maggio a Gavirate (Varese), “La festa dell’immaginario visivo”, a cura di Tommaso Trini: mostra personale che riesce a destare un forte interesse nell’artista e, parzialmente, a contrastare lo stato depressivo. In questa occasione AB sviluppa ulteriormente quei lavori da lui chiamati “personali collettivi” in collaborazione con tanti “ononimi” (anonimi/omonimi): come in precedenza per la personale alla Galleria l’Ariete, fa colorare da scolaretti locali le Faccine ristampate in una nuova edizione più piccola e in parte già colorata (a differenza del manifesto iniziale del ’77).
Riportiamo la lettera del sindaco dr. Oldrini del gennaio 1981, che accompagna la consegna dei manifesti ora colorati: “invio n. 26 manifesti colorati dai bambini delle scuole elementari di Gavirate, Voltorre ed Oltrona, in occasione della mostra tenutasi al Chiostro di Voltorre nell’anno 1979”. I fogli colorati dai bambini erano stati effettivamente esposti sotto i portici del chiostro, assieme ai due fogli “capostipiti” delle Faccine, precedentemente colorati dall’artista e dalla figlia Agata sull’edizione offset del ’77.
Nella mostra vennero anche coinvolti gli abitanti adulti del paese per disegnare i grafici di Alternando da uno a cento e viceversa. La lettera inviata loro da AB dice:
“Lei è uno dei cento cittadini di Gavirate a cui viene recapitata questa busta. Contiene un foglio stampato che rappresenta la centesima parte di un gran disegno. (…) Spero che lei voglia partecipare a questo lavoro collettivo che costituisce anche un progetto da realizzare in futuro come mosaico, o come arazzo da tessere, o come pavimentazione di un suolo pubblico a Gavirate (…) in attesa di partecipare insieme alla ‘festa dell’immaginario visivo’ la saluto molto cordialmente”.
Infine, tra le tante altre opere, è esposto per la prima volta Il Muro, opera avviata nel ’73, raccolta di “icone” private soggetta a continue aggiunte e trasformazioni.
“Tutte queste cose sono appese al muro della mia abitazione romana, staccate e riappese qui a Gavirate. Una foto con mio figlio Matteo a Kabul… Un pizzo per scrivere lo spelling del 1970, che, felice coincidenza, si compone di 49 lettere, il quadrato di 7… Classifiche e gerarchie di fiumi, mari, monti e/o altro. Telegrammi per ciechi, solo in America… Tessuti stampati, una serigrafia persiana, la cartolina spedita nel ’68 con i due gemelli A e B… Il lavoro di un sarto marocchino, un ritratto del ’69 fatto da Salvo, e un suo piccolo olio su legno, un disegno di Chia, di Tirelli etc. etc. Il desiderio di livellare ed unificare queste forme, questi diversi modi di fare…”.
In settembre trascorre il solito soggiorno autunnale in Afghanistan, affidando molti ricami, tra cui alcune Mappe, alle sue ricamatrici; ma sarà l’ultimo soggiorno e queste opere dovranno tornare tramite spedizione aerea, in certi casi dopo molte peripezie.
Prima dell’inverno allestisce nel suo studio con i figli Agata e Matteo il “Parco degli animali” o Zoo, opera del tutto casuale, allegra, ordinata quanto disordinata, colta per caso dall’obiettivo di Giorgio Colombo e pubblicata su “Casa Vogue” del gennaio 1980 con il commento dello stesso AB:
“Questi animali portano in sé il ricordo di milioni e milioni di loro predecessori e ricordano il tempo, quello antico, lento, anonimo, identico, immobile, invariato”.
Nel corso dell’autunno si susseguono altre mostre.
In ottobre, nella Galleria Plura di Milano viene presentata un’“edizione” in quaranta esemplari e cinque prove d’artista di Nove Quadrati: nove acquerelli interamente realizzati a mano, su carta filigranata appositamente realizzata da Rinaldo Rossi. Ogni foglio risulta dunque totalmente unico.
Il 30 novembre, al Castello Colonna di Genazzano, collettiva “Le stanze”, curata da Achille Bonito Oliva. AB è presente con due opere concettuali dei tempi dell’Arte Povera: Niente da vedere niente da nascondere del ’69, imponente scultura in ferro e vetro, e 1970, delicata composizione di pizzo a filet. Entrambe le opere sono basate sulla stessa quadrettatura.
Il 22 dicembre allo Stedelijk Museum di Amsterdam, nella rassegna dedicata a Gary Schum, il pioniere “video-curator”, AB propone il video in cui è documentata la sua performance di scrittura a due mani Giovediventiquattrosettembremillenovecentosettanta, che venne filmata da Gary Schum durante la mostra “Identifications 70”. “In several works which are even more concerned with the visualization of an idea (for instance Boetti and De Dominicis) the film-time is the same as real time”. La mostra sarà ripresa nel 1980 a Rotterdam, Colonia, Ghent, Vancouver e Toronto. Nel corso dell’anno, a partire dalla struttura speculare denominata Tra sé e sé, inaugurata con Regno animale del 1978, AB avvia una sequenza di opere su carta – con tecnica mista, collage, calligrafia e altro: nascono Regno musicale (dedicato alla madre), Regno delle carte e la composizione con l’inserimento della “scacchiera” Alternando da uno a cento e viceversa, che contiene il seguente commento, scritto a matita con la sinistra:
“(…) AEB scrissero pensando ad una grande pavimentazione in luogo aperto e pubblico passeggiando su lavagna e travertino – matematici e fantastici – ordine e disordine con l’eterno rincorrere tra aeb e bea, sorta di ping-pong (…)”.
Contemporaneamente ai ricami, nascono nuove opere a biro, concepite e preparate da AB ma tratteggiate da mani sempre diverse. Si tratta di nuove frasi e composizioni, che, oltre al blu o al nero, utilizzano gli altri colori propri delle penne biro, ovvero il verde e il rosso: Sragionare in lungo e in largo, Talvolta luna talvolta sole, Uno nove sette nove, Normale Anormale.
La stessa variazione cromatica (quattro colori industriali) viene applicata contemporaneamente agli Aerei con fondo tratteggiato a biro.
Ultimi giorni di dicembre: mentre i carri armati sovietici occupano Kabul, AB trascorre una vacanza malinconica con la famiglia nella Sicilia innevata.
1980
Il 23 febbraio, nella personale a New York presso la Salvatore Ala Gallery, AB presenta opere essenziali degli anni settanta, ancora sconosciute negli Stati Uniti, tra cui 720 lettere dall’Afghanistan, con il relativo libro di disegni rilegati (1973-1974), un dittico a biro blu Mettere al mondo il mondo (1974), il trittico Aerei (1977). Inoltre riprende in ampio formato il concetto di Mimetico, il suo “ready-made” del 1966-1967, esponendo in questa occasione uno dei pochi esemplari che realizzerà nel biennio 1980-1981.
La primavera segna il vuoto rispetto al consueto soggiorno a Kabul. AB partecipa a distanza, a due importanti collettive, senza assistere all’inaugurazione.
8 maggio, Hayward Gallery di Londra, collettiva “Pier+Ocean,ConstructionintheartoftheSeventies”, curata da G. von Graevenitz. Si tratta di un progetto scientifico molto ambizioso che si propone di tracciare una storia del costruttivismo e del concetto di spazio da Mondrian in poi. L’esposizione inoltre sarà riproposta dal 13 luglio all’8 settembre al Rijjsmuseum di Otterlo in Olanda. Dopo l’ottimismo degli anni sessanta, scrive il curatore “Lo spazio nell’arte degli anni ’70 è uno spazio aperto rispetto al quale l’opera del singolo artista sta come il molo (pier) sta all’oceano”.
Boetti è collocato nella sezione “Chance System Endlessness” con Baldessari, Darboven, On Kawara, LeWitt, Opalka ed altri, esponendo il libro Classifying the thousand longest rIvers in the world e un Lavoro postale del 1974 in otto elementi (quattro pannelli di buste con francobolli italiani e quattro di disegni).
È proprio dal titolo di questa mostra che AB trae ispirazione per realizzare l’opera Molo o Pier Piet, il disegno a biro che funziona tramite l’effetto gestaltico tra pieno (pier) e vuoto (oceano) e il gioco linguistico tra le parole “pier” (molo) e “piet” (omaggio a Piet Mondrian).
Il 17 maggio si apre la collettiva “Ut pictura poesis” alla Pinacoteca Comunale di Ravenna, a cura di Mirella Bandini e Italo Mussa sul tema della scrittura e del disegno della parola. AB espone tre opere legate al linguaggio, di cui due del periodo Arte Povera, i due dittici Rosso Gilera Rosso Guzzi del ’71 e 11 luglio 2023 16 dicembre 2040 del 1968 e una terza appartenente alla produzione concettuale successiva Mettere al mondo il mondo, dittico a biro blu con codice di lettura tra alfabeto e virgole.
Le mostre successive si focalizzeranno sulla produzione passata e in particolare sugli anni del passaggio cruciale dall’Arte povera al puro concettualismo.
In giugno, invitato alla XL Biennale di Venezia, AB espone la scultura Io che prendo il sole a Torino il 24 febbraio 1969, la sua performance/video presentata in occasione di “Identifications” di Gary Schum del 1970 e la grande Mappa del 1971-1973.
Pochi giorni dopo, il 27 giugno, si reca a Tokyo per una mostra personale presso l’Art Agency, la galleria giapponese di punta che mette allora la propria rete televisiva al servizio dell’avanguardia internazionale. Nei mesi precedenti ha inviato dall’Italia una serie di plichi postali, duecentonovantacinque in tutto, basati su una crescita esponenziale, che verranno montati in galleria in un Lavoro postale, eseguito specificamente per quest’esposizione, composto da sedici pannelli di buste e di disegni in esse contenuti. Le serie di francobolli, buste e disegni subiscono una crescita esponenziale al quadrato, arrivando nell’ultimo pannello a sessantaquattro buste affrancate ciascuna da sessantaquattro francobolli.
“L’elemento vitale del lavoro è l’esistenza dell’ordine e del disordine. C’è un’ironia nell’ordine rappresentato dalle buste, con le cancellature grafiche del sistema postale, i segni della pioggia che derivano dal passaggio di mano in mano (…) rappresenta un ordine invaso dal disordine della vita quotidiana. Questo elemento del caso permea tutto il lavoro”.
Oltre a questa monumentale composizione espone un’opera ricamata, fatta di cento esemplari tutti diversi della stessa frase Ammazzare il tempo.
“Non sono un pittore sono un artista, perciò utilizzo tecniche non pittoriche: ad esempio nelle mie opere postali uso i francobolli per i loro colori, per lo stesso motivo, utilizzo i fili del ricamo. (…) Ho una grande affinità per i sistemi: il sistema ordinato della vita umana in contrasto con il disordine della natura è una contraddizione sulla quale indago sempre nel mio lavoro”.
Escluse le esposizioni di Venezia e di Tokyo, AB è poco presente alle proprie mostre per uno stato di salute precario. Il suo gusto per i paradisi artificiali è giunto a condizionare fortemente la sua esistenza. La rinuncia forzata all’Afghanistan si lega alla riflessione sul contesto sociale italiano, a dir poco plumbeo, degli ultimi anni settanta. Nel suo lavoro su carta si moltiplicano le immagini di morte, di stragi di guerra, riprese dall’attualità dei rotocalchi, di personaggi come Gilmore e Pasolini.
Il 16 dicembre 1980, compie gli anni, quaranta, con una certa malinconia, eppure, lo stesso giorno, inizia con entusiasmo un rapporto di collaborazione con il quotidiano “Il Manifesto”: ogni giorno un’immagine, un segno o disegno nato in bianco e nero e firmato da Boetti, troverà nella carta da rotocalco (in bianco e nero) la propria naturale “vocazione”, nonché una fruizione seriale, da non-opera, come aveva già tentato Boetti con la cartolina di Gemelli e il Manifesto nel ’68. Così, martedì 16 dicembre appare il disegno Ordine Disordine con l’editoriale congiunto di M. Notorianni e G.B. Salerno; il giorno dopo il disegno Afghanistan. Il quotidiano intervento di AB sarà presente fino a sabato 24 aprile 1981, nell’ultimo appuntamento sono proposte quattro frasi messe al quadrato: “fare un quadrato”, “rifare un quadrato”, “rifarne ancora uno”, “finir di far quadrati”.
20 dicembre, Brescia, Galleria Banco di Massimo Minini: personale “La natura, una faccenda ottusa”. Il titolo rimanda alla teoria del matematico-filosofo inglese A.N. Whitehead, maestro dichiarato di Gilles Deleuze. Questo pensiero sarà alla base di una profonda riflessione dell’artista sulla disordinata proliferazione dei vari “regni”.
“A partire dal 1980 c’è una serie di lavori miei sul tema La natura una faccenda ottusa, nei quali ho voluto presentare la natura come realtà senza forma né colore, solo un insensato correre verso la vita. (…) È lo sguardo mentale umano a volervi cogliere colori, profumi, bellezze (…)”. La struttura speculare Tra sé e sé è alla base sia delle quattro nuove composizioni colorate con tecniche miste (La natura una faccenda ottusa) sia di altri due lavori in bianco e nero: Le quattro operazioni e Afghanistan in cui si legge tra i due “poli gemelli”:
“Afganistan, amato paese ove ottantacinquemila soldati russi entrati nel dicembre settenove detengono potere. Alighiero e Boetti negli ultimi solari giorni di ottobre anno diciannove e ottanta da più di un anno lontano”.
1981
14 febbraio, Palazzo delle Esposizioni di Roma, collettiva “Linee della ricerca artistica in italia 1960-1980”. AB è presente con un Mimetico e con un’opera su carta del ’75, Senza Titolo, in cui è riportato un lungo scritto eseguito con la mano sinistra.
21 febbraio, prima mostra in Francia: un’antologica personale nella galleria di Chantal Crousel a Parigi, “Alighiero e Boetti 1965-1981”. AB redige personalmente un testo in francese Notes pour une exposiition, elenco commentato delle opere esposte: L’albero delle ore (“Un double triangle, du jour et de la nuit. L’arbre des heures”), un Mimetico (“Mimétisme-perte d’identité; mimétique – paysage passe-partout”), il ricamo bianco Seguire il filo del discorso (“Cinq feuilles, cinq mots, cinq personnes qui ont rempli une feuille au stylo à bille, chacun la sienne, chacun à sa manière, laissant en blanc lettres et virgules. En allant de gauche à droite et suivant les coordonnées [double lecture, horizontale et verticale] vous lirez ‘seguire il filo del discorso’. Une façon de transformer les mots en figures”).
Espone inoltre Storia naturale della moltiplicazione (1975) in undici fogli, il rilievo di ghisa 1970, infine una Mappa. I tempi non sembrano maturi per un successo in Francia, il Centre Georges Pompidou vaglia l’ipotesi di acquistare la Mappa ma poi desiste.
In primavera AB si riposa in campagna, poi lascia i familiari per recarsi al Nord, in particolare a Torino e Milano dove troverà supporto tra i suoi amici galleristi, tra cui Franz Palludetto e Massimo Minini. Alcuni progetti vengono rinviati, tra cui la mostra prevista per il 20 novembre a Zurigo da Annemarie Verna che accetta con disponibilità di posporre l’esposizione.
22 maggio, mostra da Franz Paludetto a Torino in cui sono presenti solo ricami: in particolare Ammazzare il tempo, in quarantanove elementi, da cui è tratto il titolo della mostra.
Malgrado la salute precaria, torna a Parigi il 25 giugno per una collettiva particolarmente significativa, organizzata dal Centre Pompidou e curata da Germano Celant: “Identité italienne, l’art en Italie depuis 1959”. AB, fotografato durante l’inaugurazione da Nanda Lanfranco, espone due lavori di notevoli dimensioni e importanza: Ordine e Disordine, la nota composizione di cento ricami, e un Lavoro postale del 1972, formato da quattrocentonovantadue buste e basato sul gioco combinatorio di francobolli italiani.
10 dicembre, Torino, Galleria Franz Paludetto/LP: “Alighiero e Boetti”, mostra personale in grande parte concordata con Massimo Minini. È un’esposizione composta da lavori su carta, tutti basati sulla struttura Tra sé e sé. Tra i pezzi inediti è esposto un collage composto da sedici cartoline e piccoli frammenti cartacei posti intorno: l’immagine è un particolare rielaborato del ricamo Pack Tutto, creato nel 1979 e preludio dell’ampia sequenza dei Tutto.
Negli ultimi giorni dell’anno AB crea una nuova opera su carta dal funzionamento complesso Clessidra cerniera e viceversa “un testo manoscritto inquadrato al centro viene strappato partendo dal suo centro e seguendo le direzioni delle diagonali fino ad ottenere quattro lembi. Questi lembi così lacerati vengono quindi rivoltati all’indietro e il testo spezzato, aperto ai quattro venti, diventa cosa in rilievo…”.
“No, me ne sono accorto subito che poteva essere il mio ultimo lavoro (…) e a dirti la verità può anche essere che finisca così, perché veramente non credo di riuscire a fare una cosa più concentrata, più densa, più diversificata, più totalizzante, perché c’è la calligrafia, il testo, la poesia, questo fatto visivo dell’apertura, della frantumazione, dello strapparsi in tanti pezzi e ritrovare l’unità nel negativo, nel vuoto.”
AB realizzerà diverse versioni di questa nuova tipologia di lavoro.
1982
Proprio all’inizio dell’anno, il 22 gennaio, in una nuova Clessidra cerniera e viceversa: “A Roma nella mia nuova casa solitaria con tutto il futuro da pensare immaginare. (…) Che folle differenza tra l’AEB del 72 arrivo a Roma. L’Afghanistan è in guerra (…) è morto come pure Adelina. Ho quarantadue anni e dovrei mettere al mondo un nuovo mondo”.
Il rapporto coniugale ormai logorato si è spezzato. L’artista vive essenzialmente nel suo studio, ma, essendo al piano adiacente il domicilio familiare, continuerà ad essere in contatto quotidiano con i suoi figli. Nel frattempo cerca di essere presente alle sue mostre.
6 febbraio, Zurigo, importante mostra personale da Annemarie Verna. Espone tra i lavori storici La storia naturale della moltiplicazione del 1974 e Tracce del racconto del 1976; tra le opere più recenti il ricamo bianco L’albero delle ore del 1979, tre piccole Clessidre, sette disegni dal ciclo La natura una faccenda ottusa, un esemplare dell’edizione Da I a 10, pubblicata da Emme Edizioni nel 1981 e quattro versioni in diversi colori di Molo o Pier Piet.
30 aprile, Mura Aureliane di Roma: si inaugura “Avanguardia Transavanguardia” a cura di Achille Bonito Oliva. Sono esposti una Colonna del 1968, Io che prendo il sole il 19 gennaio 1969, Regno musicale del 1979, Afghanistan del 1980 e il disegno su carta che era stato proposto come immagine dell’invito della personale da Verna.
Il 2 giugno a Roma da Mario Diacono, per una sera, all’interno di una sequenza di eventi promossi dal gallerista, espone la grande Clessidra cerniera e viceversa, realizzata nel dicembre dell’anno precedente.
Il 7 giugno è presente a Documenta VII di Kassel, edizione curata da Rudi Fuchs, dove espone, oltre a una Mappa del 1971-1972, Afghanistan, Le quattro operazioni, Perdita d’identità, tre opere dal ciclo La natura una faccenda ottusa, e il grande arazzo (iniziato nel ’76) I mille fiumi più lunghi del mondo presentato assieme al libro, origine del progetto.
Il 24 luglio, alle Cinque Terre, ha un grave incidente automobilistico che lo immobilizzerà per due mesi.
27 settembre. AB, appena uscito dalla clinica e assistito dall’amico gallerista Francesco Moschini, allestisce a Roma presso lo studio AAM/COOP l’undicesimo “Duetto”, ovvero una tappa di una serie di mostre che pongono a confronto un artista e un architetto. AB dialoga con l’amico Ettore Sottsass jr. esponendo per la seconda volta l’opera molto privata e in progress Il Muro e una grande Clessidra.
“(…) Entrando nella galleria, c’è un po’ di ‘muro’ a destra e un po’ a sinistra, così che la testa lo guardi come un ping pong (…) poi c’è il repertorio di disegni ed idee di Sotsass situati in teche orizzontali e alla fine, in fondo alla galleria, quell’altro quadro di Boetti bianchissimo con il buco al centro”.
Ottobre, importante collettiva a Londra in due sedi, la Hayward Gallery e l’ICA: “Arte italiana 1960-1982” organizzata in collaborazione con il Comune di Milano. AB è presente con quattro opere storiche: Colonna di carta del 1968, il manifesto offset Faccine del ’77, Io che prendo il sole a Torino il 29 gennaio 69, una Mappa e Aerei, opera a biro blu.
30 novembre, Milano, personale alla Galleria Toselli. Sono esposte una Clessidra cerniera viceversa e il ricamo Pack, primo esemplare di una fortunata tipologia, che verrà chiamata Tutto.
Nel corso dell’anno Il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano accoglie la mostra itinerante (già presentata alla Power Gallery di Sidney e all’Università di Queensland) “Spelt from Sybil’s leaves, Explorations in Italian Art” curata da Luigi Ballerini. Sono esposte Gli anni della mia vita, 720 lettere dall’Afganistan presentata con il relativo libro di Dastaghir, una Mappa e due composizioni della Natura una faccenda ottusa. L’anno termina con una lunga intervista di Bruno Corà, Un disegno del pensiero che va: l’artista attua una riflessione sulla sua ricerca passata, ma con uno sguardo proiettato verso il futuro: “(…) I cinesi dicevano che in un quadro ci deve essere la parte visiva, la calligrafia e la poesia. Nel mio lavoro questi ingredienti ci sono tutti e tre perché un pittore deve essere anche un buon poeta. Io non so se sono buono o cattivo, ma cerco di essere anche un poeta, scrivendo a modo mio; con questo mezzo pongo proprio un fatto di scrittura, da scrittore; la mia è una scrittura sul pensiero che va (…)”.
1983
Dopo la lunga convalescenza, AB inizia una nuova vita, con abitazione nel quartiere di Monteverde al Gianicolo. Assume un terzo assistente fisso, il giovane artista fiorentino Andrea Marescalchi: ottimo disegnatore, sarà lui a copiare a matita fino al ’90 tutte quelle copertine di riviste che sempre più affascinano AB in quanto traccia dell’informazione di tutti i generi nonché del tempo che scorre inesorabile.
Con l’aiuto di “Bobo” Marescalchi e degli altri assistenti, AB avvia l’esecuzione di un notevole numero di opere, da tratteggiare a biro (su carta) o da ricamare (su tessuto).
Per le biro, si tratta di frasi già create nel decennio scorso come “quadrati” ricamati, scritte a stampatello o “nascoste” nel gioco delle virgole e rinnovate dall’incontro dei colori: ad esempio Amazzare il tempo, Sragionare/in lungo/e/in largo (blu/verde/rosso/nero) o, successivamente, Uno/nove/otto/quattro (blu/rosso/verde/nero) del 1984.
Per i ricami, non essendo mai cessati i contatti con l’Afghanistan occupato, AB riceve per posta, poco a poco, quelle Mappe da lui affidate alle ricamatrici nel ’79 e mai recuperate di persona. Sempre tramite servizio postale, spedisce nuove Mappe da ricamare, pezze di lino interamente disegnate nello studio di Trastevere, con l’indicazione del disegno e dei colori per le bandiere e la stesura, nel bordo, del testo che si delinea con forza come una sfida all’occupazione militare: “Alighiero e Boetti a Kabul Afghanistan nel 1983 il progressivo svanire della consuetudine” o ancora “Alighiero e Boetti a Kabul Afghanistan nel 1983 lasciare il certo per l’incerto e vice versa”. Almeno fino all’85 procederà con questo metodo la fabbricazione delle Mappe. Il tramite non è più Dastaghir, perso di vista nella sua fuga da Kabul occupata, ma Salman Ali, l’assistente che vive a Roma ma è ancora in contatto con i propri familiari, in parte rimasti a Jagori in Afghanistan, in parte rifugiati nel confine pakistano.
Oltre alle Mappe, AB farà ricamare in Afghanistan un certo numero di grandi ricami detti “di lettere”, ampie composizioni multicolori con frasi in stampatello. Questi arazzi “dai mille colori”, come recita più di un testo ricamato, sono veri racconti da leggere, in verticale o in orizzontale, come Addizione e Sottrazione da lui stesso datati ’83 e ’84.
AB è felice di aver ripreso l’attività ed è profondamente consapevole del filo conduttore che unisce la sua opera ormai matura: la centralità del tempo, la saggezza del lasciarlo scorrere. Tutto questo si concretizza, come sempre, tramite diverse tipologie di opere: immagini riprese da rotocalchi, superfici tratteggiate a biro, i ricami, le mappe.
Dialogo con Bruno Corà, dopo la convalescenza dell’autunno precedente:
“(…) Se in un fiume vai controcorrente arriverà il momento in cui, posto al bivio con un affluente, dovrai scegliere, andare a destra o sinistra. Invece se scendi, segui la corrente, non scegli mai. Io vorrei sempre seguire la corrente e non scegliere. (…) I miei lavori a biro sono dei concentrati di tempo, un tempo enorme, dilatato. Anche i ricami. E sono contento che per certi ricami occorrà a volte fino a cinque anni. Stranamente ho la pazienza di aspettarli, o meglio non li aspetto, arrivano quando arrivano”.
Con la ripresa del lavoro, le mostre si infittiscono, sia in Italia che all’estero. Tra le più rilevanti: Roma, febbraio, brillante personale alla Galleria Pieroni, dove espone quattro Pier Piet in diversi colori; I Mille Fiumi più lunghi del mondo, il grande arazzo (versione in bianco e nero) con la trascrizione ricamata dei nomi e delle lunghezze dei mille fiumi contenuti nel libro Classifying the thousand longest rivers in the world; infine alcune varianti (biro di diversi colori) di Clessidra Cerniera e vice versa.
Si susseguono altre mostre personali nel nord Italia, infatti AB risiede volentieri a casa dall’amica Lisa Ponti in via Randaccio a Milano.
In marzo, alla personale presso la Galleria di Franz Paludetto a Torino è esposta un’unica opera, la versione in bianco e verde de I Mille Fiumi più lunghi del mondo, appena tornata da Kabul.
Nel mese di aprile, al PAC in un duo con Carla Accardi, sono esposte insieme per la prima volta le due versioni (in bianco e nero e in bianco e verde) dell’arazzo I Mille Fiumi più lunghi del mondo. Le altre opere presenti sono di importanza storica: I sei sensi del 1973 in undici pannelli e Aerei del 1977, un grande trittico (175 x 300 cm) tratteggiato a biro blu.
Tra le collettive: “Trenta artisti italiani, 1950-1983” nella chiesa di San Samuele a Venezia; “Arte a Torino dal 65 all’83” presso il Kölnischer Kunstverein di Colonia; la collettiva organizzata per l’anniversario di dieci anni della Galleria di Massimo Minini a Brescia. In novembre, una collettiva alla Galleria Pieroni raduna gli amici di sempre: AB, Sol LeWitt e Giulio Paolini. Vengono presentati i primi disegni di copertine sotto il titolo Novembre 83, selezione di diciotto immagini di rotocalchi editi nello stesso mese.
L’anno successivo, AB esporrà questo pannello insieme a Ottobre 83 e Dicembre 83, raccolta trimestrale che prelude le ampie sequenze basate su annate intere (Anno 1984, Anno 1986, Anno 1988, Anno 1990).
A proposito di questo lavoro, AB dirà nel 1984:
“In quel mese, le immagini erano milioni. Oggi, forse sono un centinaio. Poi, rimarrà solo questa copia sbiadita di un tempo coloratissimo”.
1984
All’inizio dell’84, partecipa al group show di Los Angeles “Il modo italiano”, dislocato tra i vari campus dell’università della California. Oltre alla presentazione di un corpus di opere storiche, Boetti realizza un mosaico murale inedito e permanente, di 3 x 3 metri, traduzione in ceramica bianca e nera del meccanismo di Alternando da 1 a 100 e vice versa; i disegni preparatori furono affidati all’invenzione degli studenti. L’opera è inserita stabilmente nella parete ovest del Fi- ne Arts Building della California State University di Northridge.
Scrive allora Louise Lewis, direttore della galleria dell’Università: “[…] un’opera seducente e provocatoria. Un godimento visivo ed un codice mentale. Il materiale della piastrella induce un’esplorazione tattile della superficie, uno dei pochi casi in cui si incoraggia il visitatore a toccare l’opera d’arte”.
Il 12 giugno partecipa a “Coerenza in coerenza. Dall’Arte Povera al 1984”, a cura di Germano Celant, presso la Mole Antonelliana di Torino. Tra le opere più recenti esposte: Ordine e Disordine del 1980, istallazione di cento piccoli ricami, Quattro Moli del 1982 (ovvero quattro Pier Piet a biro su carta) e Ottobre ’83, Novembre ’83 e Dicembre ’83, presentati per la prima volta insieme.
Nuovo studio in via del Pantheon: la magnifica sagoma architettonica ricorrerà d’ora in poi in numerosi appunti e disegni dell’artista, accompagnando spessissimo la sua firma: “all’amato Pantheon” o “Accanto al Pantheon” che diventerà persino il titolo del volume di fotografie di Randi Malkin-Steinberger, scattate tra marzo e giugno dell’89 nello studio di AB e pubblicato nel 1991 da Prearo, con diversi testi di critici scelti dall’artista.
Nascono nuove composizioni con tecnica mista su carta, che verranno presentate a settembre nella mostra al Petit Palais di Ginevra, organizzata dalla Galleria Erick Frank, e successivamente, ad ottobre, nell’esposizione “Disegni 1984”, presso la Galleria Franz Paludetto di Torino. Questi nuovi disegni-collage molto colorati (ad esempio Nuotando al gerundio) comportano sempre l’inserimento di elementi calligrafici, libere riflessioni, appunti privati eseguiti da AB con la mano sinistra, come ad esemplificare la sua dichiarazione: “scrivere con la sinistra è disegnare”.
“Perché ‘nuotare’ è ‘tuffarsi’ e non nuotarsi eppure il riflessivo dovrebbe valere per entrambe il ‘fare’. Rimane in comune lo stesso elemento liquido H2O dove il corpo viene compreso e compresso in ogni sua parte. Come l’aria ma con più ‘senso’. Così tra nuoti e tuffi finisce la mia ultima serata di agosto millenovecentoottantaquattro. A Roma abbastanza felice”.
In questi disegni il fitto brulicare della “natura, faccenda ottusa” evolve verso un’armonia sempre più lieve, con “giungle” di tigri, pantere, scimmie, rane, pesci e “piscine di tuffatori” di pompeiana memoria. Eseguiti in serena solitudine senza intervento altrui, nascono per una sorta di naturale bilanciamento rispetto alla pratica delegata che caratterizza le opere a biro e gli arazzi.
“Concentrarsi su se stessi o disperdersi all’esterno frantumarsi polverizzarsi divenire mille gocce che scenderanno che scenderanno su mille fiumi d’erba ed ogni gocci ha il suono-la sua nota così che la pioggia farà musica e si diffonderà col vento (…) pioggia e vento- energie dolce e violente ma forse il momento migliore è l’attimo prima della pioggia o la limpida calma prima che il vento si alzi”.
Tra i piccoli ricami quadrati ancora affidati alle ricamatrici in Afghanistan, nascono nuove frasi tra cui Divine astrazioni, Verba volant scripta manent, I sfregi e gli sfregi.
Il 15 dicembre alla Pinacoteca Comunale di Ravenna si inaugura un’importante mostra antologica intitolata “Alighiero Boetti”. L’esposizione presenta più di cinquanta opere dagli anni sessanta (come Lampada Annuale del ’66 o le Colonne del ’68), periodo Arte Povera, alla svolta concettuale degli anni settanta (Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione del ’69) fino alla produzione più recente, in cui compaiono le copertine di Ottobre 83 o il disegno Articolazione del 1984 (immagine utilizzata come invito).
In quest’occasione viene pubblicato un volume, Alighiero & Boetti, a cura di Alberto Boatto, che documenta non solo l’insieme delle opere esposte ma costituisce una monografia con un ampio apparato bibliografico (curato da Guido Nati) che si pone come aggiornamento generale rispetto al catalogo di Basilea del 1978.
1985
L’anno è scandito da numerosi viaggi e da una produzione intensa.
AB fa un viaggio esplorativo in Pakistan a Peshawar nel confine afghano, per verificare la possibilità di riprendervi la lavorazione dei ricami; il mercante afghano Jalil, suo conoscente, lo aiuterà a trovare possibili ricamatrici all’interno delle famiglie fuggite dall’Afghanistan dopo l’occupazione sovietica. Solo nell’88 saranno realizzati i primi ricami provenienti da Peshawar.
Intanto i ricami ancora eseguiti nel paese occupato vengono esposti in diverse personali in Italia, tra cui “Ammazzare il tempo” alla Galleria Chisel di Genova e “Arazzi maggio uno nove otto cinque” alla Galleria Bonomo di Bari.
In maggio, per gli “Incontri internazionali d’arte” presso Palazzo Taverna a Roma, AB presenta la sequenza Anno 1984: duecentosedici copertine di riviste (diciotto per ognuno dei dodici mesi), disposte su dodici grandi pannelli, rese omogenee tramite il bianco e nero del tratto a matita.
Compie altri viaggi, per esempio in Tanzania, dove soggiorna nell’isola di Zanzibar. Come sempre in occasione di viaggi in località lontane, compone sul posto e spedisce alcuni lavori postali.
Secondo soggiorno in Giappone, programmato a partire da un progetto di mostra (presso la Galleria Watari di Tokyo), che verrà annullato all’ultimo momento per via di un dissidio sul tema della mostra. In questo frangente ritrova con piacere il gallerista Kazuo Akao che lo aveva accolto cinque anni prima a Tokyo. L’Art Agency di Akao non esiste più ma il collezionista-imprenditore accoglie AB nel suo museo privato a Osaka (la collezione è di arte antica a eccezione di tre artisti contemporanei: On Kawara, Beuys e Boetti) dove AB potrà lavorare con un maestro calligrafo, Enamoto San.
“È sul concetto e sulla parola ‘Vento’ che ho voluto lavorare insieme al calligrafo giapponese. Insieme abbiamo fatto dei quadri sulla parola Vento. Ci sono diecine e diecine di modi di scrivere il vento in giapponese. (…) ne abbiamo scelto un paio e siamo passati a preparare la carta su cui questi sarebbero stati tracciati: consisteva in una serie di piegature, regolari, irregolari, in orizzontale, in verticale, a ventaglio ecc. Una volta piegata la carta, lui vi tracciava sopra l’ideogramma prescelto. Asciugatosi l’inchiostro, la carta veniva spiegata e infine definitivamente incollata sopra un supporto. Il risultato era la scomposizione dell’ideogramma iniziale. È stato soltanto a lavoro ultimato che mi sono reso conto del fatto che stranamente ero andato a fare un lavoro sulle pieghe proprio nel paese del ventaglio. In effetti per Enamoto era come disegnare su un ventaglio chiuso che poi aprendosi scompone l’immagine, mentre in Giappone si fa normalmente il contrario, cioè si dipinge su un ventaglio aperto che poi, chiudendosi, nasconde l’immagine ripiegandola su se stessa”.
Grazie a questo incontro AB, già profondamente appassionato alla cultura giapponese e in particolare zen, apprenderà nuove specifiche tecniche di lavoro su carta, come la pieghettatura, che diverrà un nuovo elemento di composizione insieme alla calligrafia, al disegno a matita e con inchiostri colorati, e alla stampigliatura di sigilli rossi (l’artista fa eseguire un sigillo con il proprio nome in giapponese). L’influenza del maestro Enamoto si coglie persino nella grafia degli appunti manoscritti e nei titoli delle opere.
A Ferragosto, per la festa di San Rocco a Gibellina, “Lu presente”, AB fa realizzare un drappo processionale alto più di 2 metri e lungo più di 10, cucito dalle donne del paese.
Durante l’anno AB partecipa anche a importanti collettive, essenzialmente all’estero. A Madrid (tra gennaio e aprile) e a New York (PS1, tra ottobre e dicembre) sono esposte le sue opere in due importante esposizioni dedicate all’Arte Povera, entrambe a cura di Germano Celant: “Del Arte Povera a 1985” e “The Knot. Arte Povera at PS1”. Tra settembre e ottobre AB è presente anche a Kassel (in una collettiva al Kunstverein) e all’Alvar Aalto Museum.
Dicembre, Castello di Rivoli di Torino: AB partecipa alla mostra che ricorda l’attività del Museo Sperimentale di Torino negli anni sessanta.
Tutte queste esposizioni confermano un ormai avviato processo di storicizzazione dell’Arte Povera, mostrando i successivi e diversificati sviluppi nell’opera degli artisti appartenenti al nucleo fondatore.
1986
Febbraio, Nouveau Musée di Lyon-Villeurbanne: grande antologica di più di cinquanta opere, organizzata da AB in collaborazione con Giovan Battista Salerno. Il titolo, “Alighiero e Boetti. Insicuro noncurante”, riprende quello del portfolio del 1976 adottandone lo stesso spirito di documentazione sistematica circa le proprie tecniche e di rivisitazione delle tappe essenziali del lavoro svolto fino a quel momento.
Per l’occasione realizza ed espone una nuova versione di tre opere del periodo Arte Povera: Pavimento, Rotolo e Niente da vedere niente da nascondere. Da notare che nel catalogo della mostra (in copertina, una spiritosissima fotografia di AB nascosto in mezzo a una moltitudine di studenti giapponesi) Salerno pubblica, accanto alle immagini delle singole opere, un inizio di glossario intitolato Manuale della conoscenza che era destinato a divenire un testo in fieri su tutta l’opera di AB, ma rimase incompiuto.
L’esposizione verrà ripresa, con lo stesso titolo in italiano, ma con varianti alle opere esposte, sia a Nizza, nella sede di Villa Arson, che a Eindhoven, nello Stedelijk van Abbemuseum.
Tra aprile e maggio si collocano due esposizioni personali dove sono presenti molte opere su carta che esemplificano lo spirito “giapponese” del periodo, caratterizzate da tratti veloci rossi o blu eseguiti con inchiostro di china: “La natura una faccenda ottusa” nella Galleria Pietro Sparta di Chagny; “Esercizi 1986” nella Galleria Susan Wyss di Zurigo.
Nei disegni, come sempre, parola e tratto si compenetrano. Tra le opere esposte, si scorrono testi come “Andare contro tempo e contro vento e sentire il profilo del vento; andare con il tempo presente senza i veleni del passato, senza il miele del futuro”. “Alighiero e Boetti nella limpida, chiara luminosa ed attesa primavera dell’anno millenovecentoottantasei qui a Roma pensando ai giardini d’Oriente e tempo d’Oriente”.
Partecipa per la terza volta alla Biennale di Venezia, nella sua XLII edizione: AB è presente, nella mostra curata da Maurizio Calvesi “Arte e Scienza”, con una selezione di opere degli anni sessanta e settanta, tra cui Gemelli (1968), un’opera a biro dal titolo 1974 e un esemplare del 1977 di L’Orologio annuale.
Dall’estate AB ha assunto un collaboratore molto qualificato, il giovane studioso Massimo Minninni, incaricato di seguire personalmente l’organizzazione delle mostre e di mettere ordine nella documentazione delle opere. Compito arduo…
“AB vendeva senza tener documentazione, chiamava poco il fotografo salvo su insistenza dei galleristi prima di una mostra, per stampare il catalogo. Fotografie scattate nello studio o nel contesto di certe esposizioni sono dovute alle iniziative spontanee di fotografi, in particolare Giorgio Colombo. Nella sua grande generosità, AB regalava schizzi, disegni e fotografie. Ho dovuto rinunciare presto a memorizzare, cioè a schedare un vero archivio di fotografie, cataloghi e recensioni”.
Alla fine dell’anno AB partecipa con Contatore del 1966 alla collettiva “Il Cangiante”, allestita negli spazi del PAC di Milano e curata da Corrado Levi.
1987
AB continua a focalizzare la propria attenzione sui lavori “privati” eseguiti su carta: si afferma la presenza allegra di una giungla di animali e l’utilizzo della tecnica della carta pieghettata.
Febbraio, Gallerie Liliane & Michel Durand-Dessert di Parigi, collettiva “Arte Povera 1965-1971”: AB è presente insieme a tutti gli artisti fondatori del movimento. Sono esposti la sua Catasta del ’67 (in dodici elementi), un grande Mimetico dell’80 e l’opera intitolata Verso sud… del ’68 passata in quell’occasione nella collezione permanente del Musée National d’art moderne, Centre Georges Pompidou.
Se le collettive mettono l’accento sugli anni sessanta e settanta, le molte personali svoltesi nell’anno sono invece concentrate sulle nuove tipologie di opere su carta, in gran parte nate dall’esperienza giapponese.
“[…] e poi ci sono i colpi di pennello, dati con semplicità senza nessuna maestria, soprattutto colpi di rosso, è il primo colore […] C’è l’Oriente, ma in questo uso indifferenziato di mettere i colori tutti insieme senza mai mescolarli, c’è anche la tradizione, l’arte, l’artigianato del Brasile, del Guatemala, del Perù, degli Opi, degli Esquimesi. È lì che trovi ancora la creatività diffusa, non inquadrata in ruoli e spazi come da noi”.
Febbraio, Galleria di Lucio Amelio di Napoli: mostra memorabile intitolata “Tra se e sé” dall’espressione relativa all’immagine speculare della testa e delle mani dell’artista, già declinata in bianco e nero negli anni settanta e ripresa qui con chine colorate, motivi astratti e calligrafia. AB realizza proprio per l’amico gallerista questi undici grandi disegni (150 x 100 cm) che sono tutti riprodotti come tavole a piena pagina nello splendido catalogo, dal formato tipico della galleria. Nel mese di marzo, a Milano, vengono inaugurate lo stesso giorno (25 marzo) due mostre importanti.
L’esposizione presso lo Studio Casoli presenta esclusivamente opere su carta, tutte eseguite in Giappone su carta pieghettata con il calligrafo di Osaka tra cui quelle relative a diversi nomi di venti, Undici parole sparse nel vento e il grande dittico Ordine e Disordine, eseguito in ideogrammi, risposta orientale al binomio “quadrato” Ordine e disordine boettiano. A proposito del gesto del calligrafo sulla carta ancora piegata, AB aveva precisato a Sandro Lombardi nelle conversazione già qui citata: “Il momento culminante di tutta l’operazione resta comunque quello dell’esecuzione dell’ideogramma, che viene tracciato sempre in un colpo solo e il pennello, che all’inizio è carico d’inchiostro, risulta alla fine quasi asciutto”.
L’altra esposizione è allestita presso la Galleria Christian Stein. AB presenta in particolare due imponenti fregi (150 x 700 cm), composti da sette elementi ciascuno: nella parte inferiore si rincorrono schiere di scimmie realizzate a china in diversi colori, mentre nella zona superiore, quasi monocromatica, scorrono disegni e collage composti da cartoline, ritagli di giornali, e scrittura calligrafica.
“Queste piccolissime forme che faccio con la carta ritagliata, sono moduli da utilizzare con molta velocità, con molta leggerezza, come credo facessero i pittori dell’impero romano che probabilmente usavano degli stampini. La cosa importante che diventa anche felicità è definire una forma : scegli una certa scimmia che danza, o una pantera e inventi l’immagine con mezzi manuali anche molto semplici, la puoi riprodurre. Questa e l’alchimia che rende visibile la felicita”.
Maggio, Galleria Alessandra Bonomo di Roma: AB prepara per l’occasione un cartone d’invito che riporta il nome di Alessandra spezzato come per una pieghettatura riaperta, sul modello degli ideogrammi realizzati con Enomoto.
A metà agosto la Städtische Kunsthalle di Düsseldorf presenta la collettiva “Similia Dissimilia, modes of abstraction”, a cura di Rainer Crone. L’esposizione verrà riproposta a New York durante l’autunno in tre spazi: nel Wallach Fine Arts Center della Columbia University, nella Galleria di Leo Castelli e nella Galleria Ileana Sonnabend. Boetti espone opere appartenenti al periodo Arte Povera (Sedia, Colonne e Colori) insieme a un lavoro su carta dell’87 (Tra sé e sé). Nel catalogo il curatore John B. Ravenal così conclude la scheda critica riguardante l’artista: “Boetti mina (undermines) la tirannide della coerenza inserendo crepe e paradossi nelle nostre consuetudini percettive(…)”. Il 5 dicembre a New York la Galleria John Weber pre- senta una personale di AB, con undici Tra sé e sé, tutti dell’87, un disegno a tecnica mista intitolato Via del Pantheon 57, immagine proposta come invito, e due lunghi fregi basati sul collage di Cartoline astratte e Cartoline etrusche e altre.
A conclusione dell’anno si apre a Torino una piccola ma preziosa mostra presso la Galleria In Arco, intitolata “Giacomo Balla Alighiero e Boetti”, con opere su carta. L’invito riporta un “haiku” di Boetti:
“Gli opposti si annullano, gli intermedi si acquietano, i vicini si respingono, ma una foglia che ci fa per terra?”.
In uno dei collage esposti si legge inoltre: “La naturale parità del paragone”.
1988
A partire dal 1988 i ricami vengono realizzati a Peshawar (Pakistan) da famiglie afghane emigrate: non solo ricami piccoli (nascono alcune nuove frasi come Talvolta luna talvolta sole), ma soprattutto grandi arazzi di lettere. Di questi nuovi ricami, tutti predisposti nello studio romano al Pantheon con gli assistenti, verranno realizzati molti esemplari nell’arco di circa un biennio.
Nel montare le frasi “quadrate”, a scacchiera ma secondo schemi variabili, AB prevede quasi sempre l’inclusione di testi in farsi, da far scrivere sul posto dai capi famiglia o dai calligrafi di circostanza (mai dalle donne, per varie ragioni di ordine sociale interno); le scritte esprimono a volte un lirismo spontaneo, a volte accorati appelli militanti: “Colombe bianche piangono il Mahdi Ali e spiccano il volo, uomini pregano per lui. E tu guardi il giardino coperto di rose rosse – scritto da Sober” o ancora “Ricamato da Ali Ghiero Boetti assistito da Abdul Jalil Afghani, Peshawar, calligrafia di Mohammed Yasin. Non smetterò di lottare finché non raggiungerò il traguardo. Tanti mujahidin musulmanni hanno perso la vita come altrettante farfalle sul fronte, hanno resistito alla brutalità dei crudeli Russi”.
Va notato che anche quando si afferma a Peshawar la realizzazione di nuovi ricami, in particolare le Mappe con nuova proiezione cartografica e bandiere aggiornate a seguito dei conflitti politici degli anni ottanta, AB continuerà (attraverso i labili confini tra Pakistan e Afghanistan) a far lavorare alcune famiglie rimaste nel paese, come recitano altre iscrizioni ricamate: “Jagori Afghanistan 1989”. In tutti i ricami, AB scrive accanto alla propria firma “a Peshawar by Afghan People” o, nell’iscrizione ricamata lungo i bordi, dichiarazioni di questo genere: “A Peshawar in Pakistan AEB fece ricamare da sconosciute donne afghane nella primavera del mille nove cento ottanta nove” o altre varianti.
Di struttura differente e di particolare rilevanza sono i 50+1, la sequenza di arazzi quadrati in cui il testo di AB s’intreccia con le poesie del maestro Sufi Barang, opera che verrà esposta a Parigi, l’anno seguente, a “Les magiciens de la terre”.
Tutte le mostre personali dell’anno sottolineano la continuità tra la poetica degli anni settanta e le opere recenti (biro, ricami o disegni su carta).
Di particolare interesse due esposizioni che si tengono a Milano: “Alighiero Boetti – opere 1968-1981” presso la Galleria Massimo de Carlo e “Alighiero e Botti. ‘Alternando’ … tra tecniche diverse 1970-1986” presso la Galleria di Porta Ticinese in cui viene presentato il meccanismo concettuale di Alternando da uno a cento e viceversa dal primo esperimento in bianco/nero su carta quadrettata al ricamo, fino al lavoro su carta.
Le collettive sono di carattere storico e collocano l’opera di AB accanto a quella dei grandi maestri del Novecento. In aprile Luigi Meneghelli cura per la Galleria Studio la Città di Verona “20 anni fa” che verrà riproposta a Roma presso lo Studio d’Arte Contemporanea di Giuliana de Crescenzo. Nella collettiva sono esposti i lavori di Colla, Fontana, Leoncillo, Novelli, Pascali, Arico, AB, Gilardi, Paolini e Pistoletto; di Boetti sono presenti le cinque Colonne di carta e uno stucco su legno.
Giugno, Castello Estense di Mesola, “Mosaico e mosaicisti”, a cura di Laura Gavioli: la collettiva presenta opere di tutto il Novecento, da Severini ad Afro, da Sironi a Schifano. Boetti espone un grande mosaico legato iconograficamente ai fregi di animali e stilisticamente alla tradizione musiva classica.
Per quanto riguarda le collettive all’estero, oltre a quelle di Cambridge, Atene e Nantes, è di particolare rilievo “Chamber Scuptures”, promossa dalle Nazioni Unite, successivamente presentata al Museum van Hedendaagse Kunst di Utrecht, poi al Palais des Nations Unies di Ginevra e infine alla Fisher Gallery della University of Southern California.
Da notare, verso fine anno, la personale inaugurata il 20 dicembre a Roma, nella Galleria Pio Monti, “Piopermariemonti”. È esposta una serie di ricami “al quadrato”, realizzati appositamente con le sedici lettere che compongono “Pio per mari e monti”.
Il catalogo, a cura di Achille Bonito Oliva, si pone come un’ironica “opera collettiva”: sono riprodotti in correlazione da una parte il “ritratto” unico di ogni ricamo, differente ciascuno per la distribuzione dei colori e della manifattura, dall’altra il ritratto del suo acquirente.
“Ho disegnato circa centocinquanta parole che potevano disporsi in un quadrato. Oggi quando cado su un’espressione come ‘la forza del centro’, precetto yoga, so intuitivamente che il numero delle lettere che la compongono permette di formare un quadrato. Di ognuno di questi pezzi ho prodotto fino a cento esemplari. Ma ognuno è diverso per il colore e per lo stile particolare della donna che lo ha realizzato. Non è dunque né un’opera originale né un multiplo”.
AB acquista un nuova casa a Roma in via di Teatro Pace, dove si trasferirà successivamente dopo il restauro dell’89, mantenendo lo studio al Pantheon.
1989
Dopo i ritmi intensi di lavoro che avevano caratterizzato gli anni precedenti, in cui AB portava avanti parallelamente l’esecuzione dei disegni su carta e la delega dei ricami e delle biro, ha inizio una stagione essenzialmente di promozione e di esposizione: AB è presente in diverse importanti mostre, sia personali che collettive, soprattutto nel contesto europeo.
Tra le mostre personali: 12 gennaio, Bruxelles, Galleria Lucien Bilinelli: si inaugura la personale “Alighiero e Boetti” con diversi ricami di grandi dimensioni (in particolare quelli con scritte strutturate a forma di croce in bianco e nero) e Tutto, tipologia anch’essa ripresa ormai a Peshawar. Per l’occasione, l’artista scrive al gallerista:
“Caro Lucien, per non disperdermi e diluirmi devo stare fermo per poi nuovamente partire in nuovi spazi e sentire il vento che si separa dalla punta del naso e poi gli zigomi e orecchie ed il sibilo che diventa più forte per poi nuovamente allontanarsi e diluendosi disperdersi”.
Il 21 marzo, a Londra, la Edward Totah Gallery presenta una personale intitolata “Alighiero e Boetti”, nel cui contesto risalta in particolare il polittico Cartoline astratte, composto da nove fogli coloratissimi.
L’8 giugno la Galleria Toselli di Milano inaugura “Cieli ad Alta Quota”, un’ampia rassegna con opere risalenti agli anni settanta fino al nuovo ciclo di lavori che dà il titolo alla mostra: si tratta di Aerei su carta da disegno, realizzati a matita e acquarello da Guido Fuga, il coideatore dell’iniziale trittico del ’77. Questi Cieli ad alta quota sono composizioni decisamente preziose, ognuna assolutamente diversa dall’altra.
“Cieli ad Alta Quota, uno spazio dove inizia il vuoto, dove le parallele vanno ad incontrarsi e conoscersi per la prima volta, dove i colori si polverizzano ed il poco ossigeno favorisce incontri straordinari e visioni celestiali”.
Tra le collettive, il 20 gennaio al PAC di Milano, in “Verso l’Arte Povera. Momenti e aspetti degli anni ’60 in Italia” AB espone tre pezzi storici (Zig Zag, Ping Pong e Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969); la mostra itinerante proseguirà a Lione, allestita nell’Espace Lyonnais d’Art Contemporain.
A Parigi in maggio, tra il Centre Georges Pompidou e la Grande Halle della Villette, si apre la storica esposizione “Les Magiciens de la terre”, ideata e curata da Jean-Hubert Martin. Si tratta della prima mostra di arte contemporanea a carattere “mondiale”: vengono selezionati un centinaio di artisti, provenienti da culture molto diverse, così AB entra in contatto diretto con artisti appartenenti a tradizioni estranee alla cultura occidentale e con un tipo di produzione che si avvicina all’artigianato e alla ritualità sacrale.
Espone 51+1, cinquantuno grandi ricami quadrati – una sala intera – in cui i suoi testi italiani si mescolano con quelli persiani di Sufi Barang, che giunse dal Pakistan appositamente per l’inaugurazione.
È in quell’occasione che André Magnin, l’assistente di J.-H. Martin, notando le sottili affinità tra la poetica di AB e quella dell’africano Bruly-Bouabré, avvia un progetto che li coinvolgerà entrambi (esposizione “Words and envisioned: Alighiero e Boetti, Frederic Bruly Bouabré”, Dia Centre for the Arts, New York, 6 ottobre 1994 – 25 giugno 1995, a cura di Lynne Cooke e André Magnin).
“L’arte sarebbe forse altrettanto arbitraria e riduttiva come qualsiasi altra forma di griglia imposta sulla realtà? Boetti risponde invocando il nomadismo, che riguarda le modalità della rappresentazione e quelle dell’esistenza. Anticipando le teorie della trans-avanguardia, sviluppa un vero e proprio ‘elogio della fuga’ e dello spostamento geografico, rigenerando di continuo la propria ispirazione a contatto con altre culture. Boetti rimarrà inafferrabile: per la sua partecipazione alla mostra ‘Les Magiciens de la terre’ sbarca all’inaugurazione con uno dei suoi amici, un poeta sufi, silenzioso, al suo fianco… e tra l’altro, in questo momento, dove sarà Boetti?.
In novembre al Musée de la Ville de Paris si tiene la collettiva “Art conceptuel, Une perspective”, a cura di Benjamin Buchloh e Seth Sigelaub. L’esposizione comprende opere di arte concettuale, e i critici selezionano trentotto artisti tra i quali, per l’Italia, Anselmo, Boetti, Manzoni e Prini. AB espone due opere: una ripresa del 1986 del dittico Rosso Guzzi Rosso Gilera (ideato nel ’67) e l’immenso ricamo bianco/nero de I Mille Fiumi più lunghi del mondo (280 x 420 cm) presentato a Ravenna nell’84.
1990
Il 16 febbraio viene inaugurata la seconda personale presso la Galleria Lucio Amelio di Napoli, “Alighiero e Boetti”, con un lungo fregio “popolato dalla fauna più variopinta di rinoceronti, pantere, delfini amatissimi, pesci spada e scimmia, il piacere più grande del mondo consiste nell’inventare il mondo come esso è senza inventare niente”. Stesso ampio formato per il catalogo con tavole a colori, come quello edito nel 1987. Dopo le recenti importanti esperienze al Centre Georges Pompidou e al Musée de la Ville de Paris, AB inizia un intenso periodo di esposizioni nelle gallerie parigine.
Il 6 marzo, presso la Galleria Adrien Thomas, alla personale “Alighiero e Boetti” sono esposte due ampie composizioni a biro, Uno Nove Otto Otto in quattro elementi (1988) e Mettere al mondo il mondo in dodici elementi (1978), una Mappa del 1983, un Tutto e alcuni grandi Ricami di lettere che intrecciano l’alfabeto persiano con quello italiano.
24 marzo, Galleria Charles Cartwright, altra personale: è esposto Anno 1988 opera composta da centoquarantaquattro copertine ridisegnate a matita in bianco e nero (dodici per ogni mese dell’anno). Il giovane gallerista fece stampare un bel catalogo con le centoquarantaquattro immagini, ma AB ne vietò la pubblicazione per via di un grave errore: le riproduzioni non erano ordinate in sequenza cronologica.
Il 4 aprile, nella nuova galleria parigina di Lucio Amelio (Pièce Unique, Galerie Amelio-Brachot) AB ricopre l’intero pavimento disponibile con un mosaico (380 x 415 cm) che riprende un disegno del ’72, Passepartout. Il lavoro viene eseguito dalla stessa cooperativa di mosaicisti ravennati che aveva realizzato nel 1988 l’opera esposta al Castello Estense di Mesola in “Mosaico e mosaicisti”.
AB aveva intenzione di realizzare almeno altri due mosaici: Direzioni Suggerite (una reelaborazione di Regno animale), di cui esiste il cartone preparatorio, e Tutto, di cui rimane solo una prova in dimensioni ridotte, ma entrambi non furono mai realizzati.
A proposito di Direzione Suggerite AB dichiara a Mariuccia Casadio, mostrandole la pianta di un esteso centro culturale previsto a Ravenna: “il mosaico sarà 10 m x 10 e si intitola Direzione Suggerite. Diciassette linee indicheranno diciassette direzione diverse (…) ogni linea ha tre caratteristiche che permettono di seguirla: la scrittura(..) le linee degli animali (c’è la linea della lumaca e quella del cavallo…), dopodiché ci sono i colori corrispondenti ad ogni animale”.
AB rivela inoltre di essere molto interessato a questa tipologia di interventi artistici, nonché a progetti di tipo educativo: “Mi sembra che in questo periodo si comincino a poter fare le cose che ipotizzavo venti anni fa e che allora sembravano impossibili (…) Cose d’ambiente, didattiche, per spazi all’aperto o altri progetti del genere mi attraggono da sempre. Avevo progettato un parco giochi, dei libri per bambini, degli oggetti, mille cose…”.
Ormai molto presente sulla scena parigina e di nuovo affascinato dalla città che aveva vissuto con entusiasmo quasi trent’anni prima, prende casa a Saint- Germain-des-Près. Contemporaneamente a Roma (8 marzo) la Galleria Pio Monti presenta un lungo fregio animale, installato nella parte alta delle pareti, a modo di festone decorativo.
AB partecipa inoltre alla XLIV edizione della Biennale di Venezia, con una sala personale nel padiglione Italia curato da L. Cherubini, F. Baldoni e L. Vergine. Espone un fregio continuo che si snoda tra le pareti per 54 metri di lunghezza; nella parte inferiore allestisce altre dieci grandi opere su carta. In questa occasione vince il Premio speciale della Giuria.
In settembre sposa in seconde nozze Caterina Raganelli.
Il 21 settembre AB partecipa alla collettiva itinerante “Le porte dell’oriente” che viaggerà da Istanbul ad Ankara e Atene, per approdare fino a Ravenna un anno dopo. Nella sfera di questa tematica dedicata all’Oriente è da segnalare la sua partecipazione a un’altra collettiva tenutasi al Palazzo Reale di Milano dal titolo “Il mondo delle torri di Babilonia”.
L’8 ottobre a Parigi presso la Galleria 1900-2000 prende parte alla mostra “Art Conceptuel, Formes Conceptuelles”, una collettiva di quaranta capostipiti del movimento concettuale, da Vito Acconci a Lawrence Weiner. Un imponente catalogo documenta l’esposizione. Sempre in ottobre AB è tra gli artisti presenti al Musée Contini di Marsiglia. La mostra, curata da Bernard Blistène, verte sul settore Arte Povera della collezione permanente del Centre Georges Pompidou, Musée National d’Art Moderne, e ripropone le opere già esposte a Parigi in aprile: Verso Sud, “calligrafia“ su cemento a pronta presa del ’68, una Mappa del ’73 e un’opera a biro.
Salvatore Ala a New York inaugura il 17 novembre una mostra, “Alighiero e Boetti”, che si presenta come una vera e propria antologica a partire dal periodo Arte Povera, passando per gli archetipi del periodo concettuale (un grande lavoro postale, l’opera a biro Mettere al mondo il mondo e il grande trittico acquerellato degli Aerei) fino ad arrivare ad alcuni ricami particolarmente significativi come una Mappa del ’74, Ordine e Disordine in cento ricami e un grande ricamo monocromo dell’89.
Nel corso della primavera AB collabora con la rivista di Zurigo “Parkett”, o meglio con le curatrici Jacqueline Burckhardt e Bice Curiger, alla costruzione delle 88 pagine (più la copertina) a lui dedicate nel numero 24 di giugno. L’intervento si compone di testi inediti – di J.C. Ammann, G.B. Salerno, R. Crone/D. Moos, F. Malsch, J.P. Bordaz – e più di trenta riproduzioni di opere, costituendo quasi un catalogo personale. “Parkett” sarà anche l’editore di una serigrafia, All about twins (una copertina di Newsweek ridisegnata) e di una T-shirt Il mio punto di vista.
Nella campagna umbra, Bice Curiger fotografa AB sui gradini della grande scala di pietra all’aperto fatta costruire dall’artista stesso negli anni ottanta.
1991
AB inizia a utilizzare nuovi strumenti tecnici, leggeri e rapidi, legati all’innovazione nella comunicazione: fogli di carta formato commerciale o fax. Nasce la serie da lui chiamata Extra-strong. Ogni foglio, lavorato a matita, inchiostri colorati, collage e timbrature varie, diventa un microcosmo miniato, la pagina di un codice o di un diario.
La sua passione per l’informazione (giornali, riviste e rotocalchi) trova una nuova modalità espressiva: invece di far trascrivere da Bobo Marescalchi immagini di copertine in disegni a matita (dopo le serie annuali 1984, 1986, 1988, 1990 sarà l’ultima), AB comincia a operare da solo, fotocopiando in bianco e nero. Parlando delle sue sperimentazioni con la “Rank Zerox 3600”, iniziate nel 1969, lamenterà una mancanza di disponibilità delle aziende rispetto alla ricerca artistica:
“… le idee erano tante. Io dicevo che la fotocopiatrice non è una macchina solo da ufficio. Nel duemila l’avremo tutti nel salotto. Datemene una da portare a casa e io documenterò alcune delle sue possibili applicazioni creative. Quello che facevano altri artisti, da Munari in poi, era di manipolare il meccanismo, di intervenire sui tempi, cambiare la quantità d’inchiostro ecc. A me invece interessava l’applicazione ‘standard’ della fotocopiatrice. Ma non se ne fece nulla”.
Grazie all’avvento del fax e della fotocopiatrice di piccolo formato, AB aveva finalmente trovato la sua “fotocopiatrice da salotto” per poter lavorare nel suo studio. Infatti, già negli anni ottanta, aveva cominciato a realizzare dei libri di fotocopie in edizione limitata (1984, 1986, 1988), selezionando delle pagine di riviste che lo avevano particolarmente interessato. Nel ’92 uscirà in 160 esemplari numerati e firmati 111, un diario composto da appunti, disegni privati e immagini di riviste, tutti fotocopiati e così omologati in bianco e nero.
Tutti questi “libri”, su indicazione di AB, venivano fatti rilegare in tela rossa (di afghana memoria) con il titolo scritto in caratteri dorati.
Parallelamente ai lavori di piccolo formato realizzati in prima persona, AB intensifica la realizzazione di opere di cospicue dimensioni che necessitano un tempo prolungato e un’organizzazione quasi manageriale, implicando il lavoro di ormai tantissime persone.
I viaggi diminuiscono: l’artista preferisce mandare a Peshawar i collaboratori, i figli Matteo e Agata o la moglie Caterina.
Durante l’anno si tengono numerose collettive, mentre tra le personali in Italia sono particolarmente rilevanti quelle allestite presso la Galleria Bonomo di Bari e la Galleria Seno di Milano.
Nella prima, inaugurata il 22 marzo, AB espone un fregio continuo che si snoda lungo il perimetro della galleria, due opere postali dell’89 (una eseguita in Tanzania) e molte opere su carta con temi di attualità politica come la Guerra del Golfo.
Nella seconda, inaugurata l’8 ottobre, sono presentate tra altre opere un Tutto di vaste dimensioni e una serie inedita di disegni su carta sul tema Bugs Bunny.
Le collettive sono di carattere prevalentemente storico e spaziano dal periodo dell’Arte Povera agli anni ottanta.
Marzo, Palazzo dei Congressi di Roma: nella collettiva “60-90 Trenta anni di avanguardie romane”, a cura di Laura Cherubini e Arnaldo Romani Brizzi, AB è presente con due opere: Zig Zag del ’67 e Sale e Zucchero del ’73.
26 aprile, Kunsteverein di Monaco, “Arte Povera 1971 und 20. Jahre Danach”: nella mostra sono esposti lavori storici tra cui Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969, 1970 di ghisa, alcuni pannelli della serie Colori (Bianco Saratoga e Giallo Positano) abbinati a lavori recenti tra cui una Mappa dell’83 e un Tutto dell’89. La copertina del catalogo riproduce un Mimetico del 1981 non esposto in mostra.
20 settembre, Monastero dei Benedettini di Monreale: alla mostra “Ottanta Novanta”, curata da Francesco Gallo, AB espone Quindici, quindici piccoli ricami da Kabul, un lavoro postale del ’72 e l’opera su carta in due fogli Collo Rotto braccia lunghe del ’76.
In Novembre, al Palazzo della Permanente di Milano viene proposta un’originalissima esposizione dal titolo “Ricamata Pittura. Quadri ad ago dal XVII al XX secolo”. Sono selezionati solo tre artisti del Novecento: AB si ritrova in compagnia di Marcello Nizzoli e dell’amato Alberto Savinio, con il ricamo Sandro Penna: Io vivere vorrei…
È possibile instaurare un interessante parallelo: se nel catalogo di “Magiciens de la terre” alla domanda cosa fosse la bellezza, AB aveva risposto “E’ ciò che ci ricorda che siamo stati vicini agli dei”, il 16 maggio nel dialogo con Sergio Givone afferma: “La bellezza è un fatto di pensiero e di volontà di realizzarlo. (…) Ma poi che cosa vuol dire futile? Allora una poesia è futile, mettere quattro parole in riga è futile? Non credo. Credo invece, come dicevo prima, che le grandi emozioni della mia vita me le hanno date gli artisti, non certo la natura. O anche la natura, ma elaborata mentalmente, intellettualmente. Penso anzi che l’arte sia la cosa meno futile che c’è…”.
Durante tutto l’anno AB si dedica con grande passione ed energia a due ambiziosi progetti : la mostra itinerante che si svolgerà in Germania a partire dal ‘92 e il gigantesco progetto previsto per la fine del ‘93 al Centre d’Art Le Magasin di Grenoble, la cui preparazione richiederà due anni di lavoro in Francia e a Peshawar e un impegno collettivo allo studio del Pantheon quasi da “factory” warholiana. Intanto sono nelle mani delle ricamatrici le grandissime Mappe che saranno le ultime (dalle testimonianze di Caterina Boetti, Marescalchi e Minninni, AB nutriva comunque l’intenzione (velleitaria? decisiva?) di arrestare la produzione di ricami).
Alighiero sembra affaticarsi, consumarsi nell’orchestrare la sua opera singola e collettiva. Vive in modo più appartato. Avverte con preoccupazione gli effetti della crisi finanziaria (dovuta alla prima guerra del Golfo) e fa ricorso ai “paradisi artificiali”, che del resto non aveva mai del tutto abbandonato.
1992
Nel febbraio del 1992 nasce il terzo figlio, Giordano.
11 febbraio, alla Galleria Franck + Schulte di Berlino si inaugura una personale di sedici lavori divisi tra opere su carta, biro e ricami. La Mappa esposta, del ’78, reca sul bordo “a Kabul regna il caos”.
A proposito di quel lontano “caos” precedente all’invasione sovietica e di fronte alla guerra civile nell’Afghanistan post sovietico, AB espone in una conversazione a Parigi con Nicolas Bourriad il suo disincanto e la sua straordinaria preveggenza circa il fondamentalismo talebano: “La forza di resistenza che gli Afghani oppongono alla nostra civiltà mi ha sempre stupito: nulla cambia mai. Ciononostante spero che Massoud andrà al potere. Il suo antagonista, Makhtiar, porta il turbante nero, quello di Khomeiny… e sappiamo troppo bene su che cosa aveva gradualmente costruito il proprio potere a partire dal 72/73: lo Shah aveva imposto al popolo iraniano un’occidentalizzazione ad oltranza, ridicola. Ricordo le puttane in minigonne a Teheran, Warhol aveva fatto il ritratto di Farah Diba… In Afghanistan è successo qualcosa di simile, ma è durato poco. Uno dei figli del re aveva persino aperto un night club nel quartiere delle ambasciate a Kabul, si chiamava “24 hours”. Ma ha chiuso nel giro di quattro mesi. Il problema è che nessuno ha saputo imporsi da moderato, da un lato come dall’altro”.
Da Peshawar tornano i dieci grandi arazzi ricamati su disegno a quattro mani di Boetti e Paladino: verranno esposti in diverse sedi, nella Galleria di Emilio Mazzoli a Modena, a Toronto nell’Istituto Italiano di Cultura, a Montreal nel Centro Internazionale di Arte Contemporanea e infine, tra dicembre e gennaio del ’95, al FRAC di Lille. Nel frattempo, il 25 settembre, presso la Galerie Leccese-Spruth di Colonia, viene riproposto il gruppo di cinquantuno arazzi con le poesie di Sufi Barang, esposti alla mostra “Les Magiciens de la Terre” l’anno precedente.
Il 28 settembre si inaugura al Kunstverein di Bonn l’importante personale a cura di Annelie Pohlen che proseguirà in altre due sedi, Münster e Lucerna. Il titolo è quello di un saggio di Gustav Jung, la Sincronicità come principio non-causale di eventi, e viene scelto da AB sia per il suo contenuto vicino al tema prediletto delle “felici coincidenze”, sia per la sua iscrizione (in tedesco quarantanove lettere) in un quadrato magico di 7 x 7. Il sottotitolo è “Alighiero e Boetti 1965-1991”. Anche l’invito della mostra offre la citazione tedesca in oro su fondo rosso, messa al quadrato.
Per l’occasione, AB esegue nuovamente Panettone (l’originale era andato distrutto) e una seconda versione di Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969. Il catalogo è un esperimento molto vivace: AB stesso chiede a un gruppo di critici di scrivere ciascuno su un’opera. Oltre al saggio introduttivo della curatrice, si susseguono dunque trentacinque interventi, redatti appositamente per l’esposizione.
Tra le innumerevoli collettive, spiccano tre mostre all’estero: due in Francia a giugno (“A visage ouvert” presso la Fondazione Cartier a Jouy en Josas e “La collection Christian Stein, un regard sur l’art italien” al Nouveau Musée di Villeurbanne); una a Osaka in ottobre (“Arte povera” presso la Kodama gallery).
In prospettiva della mostra al Magasin di Grenoble, prevista per la fine del ’93, AB affronta già, insieme ad Adelina von Furstenberg, direttrice del Centre d’Art, la realizzazione di cinquanta khilim disegnati seconda la regola di Alternando da 1 a 100 e vice versa. A partire dal settembre ’92, sulla base di “griglie” fornite dallo studio Boetti, cinquanta cartoni vengono disegnati dagli studenti di trenta scuole di belle arti in Francia e da una ventina di amici o parenti; successivamente gli assistenti a Roma trasferiranno questi disegni in scala definitiva (200 x 200 cm) per i venti tessitori in Pakistan che vi lavoreranno dall’inizio del ’93. A proposito dei cinquanta khilim, Salerno scriverà: “un disegno che parte da Roma, va in Francia e circola in una trentina di città, torna a Roma, parte per Peshawar Pakistan e infine si concentra a Grenoble, percorre la stessa distanza che divide Oslo dallo Stretto di Bering in linea retta lungo il 60° parallelo, cioè tutta l’Asia”.
AB si reca a Peshawar per incontrare il maestro tappetaio Azam. Fa anche un viaggio in quella “regione dell’anima”, come ricorda Caterina che lo accompagnava, tra le montagne di cui non conosceva finora il versante pakistano: fu “l’ultima meta visitata, la regione del Rakaposhi (7788 metri) nel sistema montuoso del Korakorum che, proseguendo l’Himalaya verso ovest, si connette con la catena dell’Hindu Kush in Afghanistan”.
AB si fa fotografare da Caterina in un moto panteistico, in cui l’apertura delle braccia accompagna i pendii della montagna mentre la testa, al centro, corrisponde a una cima nevosa.
In vista della stessa mostra, vengono parallelamente affidati alle ricamatrici afghane di Peshawar i cento piccoli quadrati multicolori De bouche à oreille, che daranno il titolo alla mostra nella sua globalità.
Terzo capitolo del progetto: AB programma un immenso Lavoro postale basato su una progressione numerica che va da una busta con un francobollo fino a 506 buste con 39976 francobolli. Le buste contengono dei disegni e tutti i 506 disegni verranno esposti accanto alle buste. L’insieme costituisce un immenso “carnet de voyage”, fatto di plichi che davvero hanno viaggiatoattraverso la Francia per settimane con la collaborazione del Ministère des Postes, percorrendo anche, come i disegni preparatori dei khilim, più di uno spostamento tra Francia e Italia per convergere alla fine su Grenoble.
1993
AB prevede la realizzazione in bronzo in sette esemplari dell’Autoritratto, una complessa scultura ideata vent’anni prima: tre saranno eseguiti entro il ’94, gli altri solo successivamente. In giugno il primo esemplare è esposto e definitivamente collocato nel parco del museo olandese di Arhnem, in occasione della mostra “Sonsbeek 93”.
Nello studio AB progetta un tappeto “classico” di tipo persiano che doveva divenire la summa di tutta la sua iconografia, delegando le prove e il cartone definitivo al nuovo assistente Simone Racheli. L’opera verrà affidata agli stessi tessitori di Peshawar, tuttora impegnati con i Khilim: questo grande tappeto (350 x 240 cm) sarà l’ultima opera che tornerà dal Pakistan dopo la scomparsa dell’artista.
In marzo si tiene una personale presso la Galleria Christian Stein di Torino con opere del primissimo periodo 1966, finora mai esposte, e alcune presenti nella prima personale del ’67. Questa sarà l’ultima mostra personale di AB in Italia, esattamente come sempre da Christian Stein era avvenuta la prima. Tante altre esposizioni lo impegnano, particolarmente in Francia: ad esempio “De la main à la tete, l’objet theorique” presso il Domaine de Kerguehennec in Bretagna e la Biennale di Lione intitolata “Et tous ils changent le monde”.
Oltre al lavoro preparatorio per Grenoble, AB è sollecitato a concretizzare il dialogo con l’artista Frederic Bruly-Bouabré in vista di una mostra a due, prevista per il 1994 a New York.
“Abbiamo fatto incontrare i due artisti per la prima volta a Parigi a marzo ’93 e siamo rimasti colpiti dall’immediata intesa e dal calore tra loro. Mentre il progetto si sviluppava in vista della mostra fu deciso che ognuno avrebbe fatto visita all’altro ‘a casa’. Ne avrebbe potuto risultare una vera collaborazione per ampliare il dialogo previsto tra opere specifiche. Con la sua famiglia Alighiero andò ad Abidjan, dove risiede Bruly oggi e poi nel villaggio di Zepreguhe dove è nato”.
Il soggiorno in Costa d’Avorio di AB, con Caterina e il piccolo Giordano, si rivela assai problematico per diversi motivi contingenti. AB ha comunque difficoltà a relazionarsi con la cultura africana, ma, con grande onestà intellettuale, sa riconoscere la specificità della ricerca dell’amico Frederic Bruly-Bouabré: “Esiste un tempo per le grandi attrazioni… La mia attenzione si è svolta tutta verso Oriente, le montagne del Tibet, il tè, i monaci zen e i loro giardini. (…) Mi è capitato a Parigi di incontrare l’arte africana ma non nutro un interesse particolare, mi è estranea a livello emozionale direi. Posso ammirare certe qualità, l’intensità, ma sussiste per me come una distanza (…) Nel caso di FBB è tutto l’opposto. Con il suo formato cartolina e la continuità temporale nel suo lavoro, egli sposta la sua attenzione dovunque, può fare tutto. Parla un linguaggio essenziale e parla di tutto (…) L’idea è comunque sempre la stessa: creare un sistema, un mondo in cui le scoperte sulla vita le sue meraviglie possono essere riprodotte, mettendo in risalto il prodigioso potenziale del nostro cervello, della nostra immaginazione”.
In giugno, alla XLV Biennale di Venezia AB espone nel Padiglione Italia il grande stendardo realizzato per Gibellina nel 1985. Contemporaneamente è presente nell’evento collaterale “Trésors de voyage”, a cura di Adelina von Furstenberg, allestito nel convento armeno sull’isola di San Lazzaro.
Il suo intervento documenta la passione dell’artista per la realizzazione di libri, tutti sempre rilegati in tela rossa: Classifying the thousand longest rivers in the world del ’77 e numerosi altri volumi successivi, fino a 111, vengono sottilmente inseriti e mimetizzati nella biblioteca dei padri armeni.
Lo stile dei “libri rossi” diviene una richiesta sistematica dell’artista ai curatori delle sue mostre dal 1990: ricordiamo, ad esempio, un catalogo della Galleria Kaess-Weiss di Stoccarda (1990), Accanto al Pantheon, edizione Prearo (1991), e quello relativo alla mostra itinerante a Bonn-Munster-Lucerna (1992-1993); in seguito, rispettivamente a fine ’93 e inizio ’94, si aggiungeranno il catalogo De bouche à oreille del Magasin di Grenoble e il complementare volume edito dal Musée de la Poste e dedicato al grande Lavoro postale. Persino dopo la scomparsa di AB, come forma di omaggio alla sua predilezione, altri cataloghi saranno realizzati nello stesso stile.
Tra gli artisti partecipanti a “Trésors de voyage” AB ritrova Bruly-Bouabré e, come già concordato, conferma l’invito ad accoglierlo nel suo casale a Todi. Purtroppo nel corso dell’estate ad AB viene diagnosticato un tumore, ai polmoni e alla testa, e la sua attività risulta molto compromessa.
Lo stile dei “libri rossi” diviene una richiesta sistematica dell’artista ai curatori delle sue mostre dal 1990: ricordiamo, ad esempio, un catalogo della Galleria Kaess-Weiss di Stoccarda (1990), Accanto al Pantheon, edizione Prearo (1991), e quello relativo alla mostra itinerante a Bonn-Munster-Lucerna (1992-1993); in seguito, rispettivamente a fine ’93 e inizio ’94, si aggiungeranno il catalogo De bouche à oreille del Magasin di Grenoble e il complementare volume edito dal Musée de la Poste e dedicato al grande Lavoro postale. Persino dopo la scomparsa di AB, come forma di omaggio alla sua predilezione, altri cataloghi saranno realizzati nello stesso stile.
Il 26 ottobre a Parigi viene presentata la scultura Autoritratto, come istallazione “point de mire” nella grande hall del Centre Pompidou, mentre AB a Roma porta a termine forsennatamente la complessa mostra di Grenoble. Per la realizzazione del progetto fu comunque fondamentale l’impegno straordinario e personale di Adelina von Furstenberg. In apertura del catalogo lei stessa renderà un intenso omaggio all’artista, con una parabola sufi che riguarda un khilim: tra la curatrice e l’artista infatti era nata non solo una forte amicizia, ma una speciale “affinità elettiva” riguardante la cultura dell’Asia centrale.
“Giovanni Battista Boetti fu un antenato di Alighiero Boetti e anche un sufi dell’ordine dei Maestri (Khwajagan) fondato dal Maestro Naqshbandi di Bukhara. Ho ritrovato un racconto che Naqshbandi utilizzò per illustrare ai suoi discepoli, attraverso la ricerca della conoscenza, la ‘dimensione nascosta’”. Nello stesso catalogo la curatrice, Angela Vettese, propone un coltissimo repertorio di immagini, endemico alla “Babele” che anima la ricerca artistica di AB e in particolare al suo “pensato e quadrato”: combinazioni cosmiche a partire dall’alfabeto ebraico, manoscritti giapponesi, carmi medievali, l’incipit della Danse Allemande di Mozart, i “quadrati magici” studiati da Blaise Pascal, l’ideogramma cinese sulla pienezza del vuoto.
AB, con grande forza d’animo, riesce ad essere presente all’inaugurazione a Grenoble il 27 novembre.
1994
Due sono gli appuntamenti più importanti per quest’anno: AB, che purtroppo non potrà presiedere ad essi, li ha comunque seguiti e predisposti.
Il 17 febbraio al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles si inaugura “Origine et destination, Alighiero e Boetti – Martin Hübler” a cura di Marianne van Leeuw e Anne Pontégnie. La mostra, dialogo tra due fondatori dell’arte concettuale internazionale, si avvale anche di un lavoro interattivo con il pubblico, che, nel meccanismo di selezione delle immagini fotocopiate, ricorda la pratica boettiana dei “libri rossi”. L’artista non può partecipare fisicamente all’evento.
Entro la primavera Caterina Boetti recupera a Peshawar la grande Mappa con la bandiera russa rettificata dopo la caduta del muro di Berlino.
Il 24 aprile 1994 AB si spegne nella sua casa in via del Teatro Pace a Roma.
A Parigi, al Musée de la Poste, il 5 maggio il Lavoro postale proveniente da Grenoble è riproposto al pubblico parigino, con presentazione del secondo catalogo curato da Angela Vettese.
Il 7 agosto a Los Angeles, il MOCA Museum, riprende l’istallazione dei cinquanta khilim in “Alternating from 1 to 100 and vice versa”, curata da Alma Ruiz e Thierry Ollat (collaboratore di Adelina von Furstenberg). La stessa mostra si sposterà a New York al PS1 il 9 ottobre.
A New York l’autunno si trasforma improvvisamente in una celebrazione postuma dell’opera di AB, presente contemporaneamente in quattro mostre inaugurate tra il 4 e il 9 ottobre: non solo in “Worlds envisioned” il “dialogo” tra lui e l’altro “magicien de la terre” Frédéric Bruly-Bouabré alla DIA Foundation e nella personale al PS1 Museum di Long Island, ma anche nelle due prestigiose collettive: “Mapping” al MoMA e “The Italian Metamorphosis” al Solomon Guggenheim Museum.
Nel catalogo di “Worlds envisioned”, tra i dodici autori coinvolti suo figlio Matteo scrive: “Pochi giorni prima di spostarsi in Paradiso, Alighiero mi diceva per l’ennesima volta quanto fosse felice di far questa mostra con Bruly, suo fratello africano (…) Era affascinato dal confronto con lui, così lontano geograficamente, così unico nella sua relazione con il sacro, con il mistero. Eccoli qui oggi, più differenti che mai tra loro, il medicine man nero, vivo, e il medicine man bianco, quel shaman-showman, ora probabilmente sopra i laghi afghani nel paese tanto amato. Ma hanno in comune un particolare rispetto dell’invenzione e dell’intelligenza, una stessa generosità nella parola, nel fare, nel rivelare la bellezza e i suoi meccanismi”.